La terapia del comportamento: una storia

Paolo Meazzini, La terapia del comportamento: una storia, Editrice TecnoScuola, Gorizia, 1999

Esistono, fondamentalmente, due psicologie: una che si interessa all’inconscio e un’altra che si interessa al comportamento. La prima affonda le sue radici nella cultura umanistica europea mentre l’altra possiede la sua patria naturale negli States e ha come background filosofico l’empirismo inglese di Locke (l’uomo è una tabula rasa), il materialismo di La Mettrie (l’uomo è una macchina), l’evoluzionismo di Darwin (l’uomo è l’effetto delle sue azioni), il positivismo riduzionista (l’uomo è le sue azioni) e, appunto, il pragmatismo americano. Per riassumere con un aforisma si può dire, facendo eco a Meazzini, che ‘il comportamentismo ha un corpo empiristico ed evoluzionistico, al quale il positivismo ha sottratto l’introspezione e il materialismo la psiche’.

Il comportamentismo governa il mercato, il lavoro, le relazioni interpersonali e anche le elezioni, la politica e quindi le grandi scelte di una società. Il comportamentismo oggi detta le nome per essere vincenti. E niente più del successo è richiesto da un individuo postmoderno che ha ridotto il senso dell’azione alla sua efficacia. Il contenuto alla forma. L’interiorità alle leggi e ai tempi dello spettacolo.

E’ il passaggio che Kohut ha definito dall’uomo colpevole del ‘900, quello nevrotizzato della psicoanalisi, all’uomo tragico della psicologia del Sé. Il cui dramma non è più l’impossibilità di adempimento di una funzione di cui si avverte il lacerante imperativo, quanto la perdita narcisistica della soddisfazione per ciò che si riesce, a volte anche brillantemente, a realizzare. L’uomo colpevole ha scoperto l’inconscio perché ha capito di non volere in profondità ciò che avrebbe dovuto volere, secondo le regole familiari e dell’ambiente; l’uomo tragico è esistenzialmente scontento e ha affinato le tattiche dell’agire perché ha smesso di interessarsi allle ragione del proprio Sé a favore di una vita unicamente estrovertita.

Eppure, ci insegna la psicofisiologia, è proprio il corpo il terzium non datur fra l’inconscio e la mente, fra una visione incorporea e una organicistica dell’individuo. L’enfasi del comportamentismo rivolta allle azioni del corpo è dunque ad un tempo il segno della decadenza e della tragicità della cultura occidentale, sì, ma anche il vibrante campo di indagine di un nuovo modo olistico, ma non compiaciuto e astratto, di esprimere la complessità dei processi psichici e somatici dell’uomo.

Ecco perché a noi le tesi del comportamentismo paiono interessanti, credibili e sottovalutate, perlomeno all’interno delle nostre Università. Anche se ci discostiamo del tutto dai believes storici della teoria del comportamento e soprattutto dallle sue tendenze deterministiche, ambientalistiche e riduzionistiche. Che costituiscono le convinzioni, più o meno radicate dei contributi di i tutti i grandi precursori. Dagli studi di Pavlov sui suoi disgraziatissimi cani a quelli di Watson sul suo sfortunatissimo figlio Alberto. Tutti e due splendidi pionieri che precedono la fase di maturità della terapia del comportamento.

La quale viene raggiunta solo con le sperimentazioni di laboratorio e con l’ordinamento teoretico di tre grandi autori: Skinner, Eysenck e Wolpe. A Skinner va il merito di aver codificato il fondamento stesso del comportamentismo, e cioè le fasi del condizionamento operante in opposizione al condizionamento S-R di pavloniana memoria. Le leve che gli affamati topini degli skinner-boxes dovevano premere per raggiungere il cibo sono diventate il paradigma per la manipolazione di ogni attività umana. Eysenck è invece l’ideologo. Tedesco, costretto ad emigrare in Gran Bretagna a causa delle persecuzioni razziali, Eysenck conserva un gusto della speculazione tipicamente europeo anche nel contesto anglosassone.

Elabora un manifesto del comportamentismo in quattro punti. Innanzittutto confronta in 9 temi l’efficacia e i presupposti della behavior therapy con quelli della psicoanalisi. In secondo luogo confronta attraverso una ricerca meta-analitica la curva di remissione dei soggetti sottoposti a psicoanalisi con quelli che migliorano spontaneamente, scoprendo una quasi sovrapponibilità fra le due curve.

In terzo luogo fornisce una nuova definizione di nevrosi basandosi sugli assunti del comportamentismo. Infine si avventura in una difficile discriminazione fra le dimensioni della personalità umana.

A Wolpe si deve invece l’introduzione della tecnica della desensibilizzazione sistematica, un altro caposaldo della teoria del comportamento, la quale consiste in un abbinamento del rilassamento neuromuscolare di Jacobson con una scaletta progressiva, focalizzata attraverso immagini mentali, delle situazioni più ansiogene pensabili dal paziente.

Altri importanti autori che gravitano intorno a questa fondamentale triade sono: Stampfl con la sua teoria implosiva, ormai desueta, che consiste nel far immaginare al cliente scene di ansia fino a raggiungere uno stadio emozionale violento dal quale si dovrà impedire al cliente di sottrarsi. E Polin con la sua (assai simile) teoria del flooding, cioè dell’alluvione, basata sul convincimento teorico secondo il quale la ripetuta presentazione dell’oggetto fobico, concettualizzata come SC (stimolo condizionato), dovrebbe gradualmente portare all’estinzione della risposta fobica, dato che ad esso non fa più seguito lo SIC (stimolo incondizionato), cioè la situazione che ha prodotto il trauma.

Seligman e Lazarus costituiscono quelli che l’autore definisce gli eterodossi della terapia del comportamento. Seligman è ricordato per la teoria dell’impotenza appresa, secondo la quale i comportamenti disadattivi deriverebbero dall’impossibilità del soggetto di controllare i comportamenti avversivi. Come negli esperimenti dei cani sottoposti a shock non evitabile, i quali animali alla fine rimangono accucciati passivamente all’interno della gabbia anche durante le esecuzioni elettriche. Di Lazarus è memorabile invece la sua passione per un indirizzo quasi tecnologico più che scientifico della Teoria del Comportamento.

Gli ultimi due epigoni del Comportamentismo presi in esame dall’autore sono Staats e Bandura. In breve sintesi dal confronto del loro pensiero emerge che mentre il primo fa riferimento alle due forme classiche di condizionameto, quello pavloniano e skinneriano, Bandura invece dà estremo rilievo alle tecniche del modellamento. Staats diventa così l’ispiratore della Token economy, un programma articolato di basilare importanza per la tecnica di intervento comportamentista, e anche del condizionamento linguistico. Bandura invece è l’ispiratore della tecnica del modellamento terapeutico, la quale agisce sul cliente attraverso l’apprendimento di 5 principali funzioni. Riassumibili in: funzione acquisitiva con cui il cliente è in grado di apprendere nuove modalità comportamentali, anche per mezzo dell’osservazione del comportamento del terapeuta; funzione facilitativa, con la quale il cliente viene stimolato a manifestare comportamenti che già possiede ma che trova difficoltà a rendere di pubblico dominio. Funzione disinibitrice, con cui il cliente apprende a manifestare comportamenti che prima venivano censurati. Funzione estitiva che richiede un’esposizione prolungata ad un modello abile e infine la funzione inibitrice con la quale il modello inibitore persegue lo scopo d’insegnare al cliente le modalità mediante le quali pervenire ad una forma ragionevole di autocontrollo.

La parte finale del testo si focalizza sulle più recenti applicazioni delle tecniche comportamentiste.

In definitiva ‘La terapia del Comportamento: una storia’ di Meazzini è un libro di didattica chiaro, soprattutto nella parte storica-introduttiva, onestamente esposto e animato da una visibile passione e fiducia nei riguardi della materia

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Antonio Dorella