Heinz L. Ansbacher, Rowena R. Ansbacher (a cura di), “La psicologia individuale di Alfred Adler”, 1956.
In quest’opera i due autori ripercorrono tutto il pensiero di Adler commentando e analizzando una selezione dei suoi scritti. Il volume è diviso in due parti: una dedicata alla teoria della personalità e al suo sviluppo, l’altra alla psicopatologia. All’interno di questi due grandi capitoli la suddivisione è sia cronologica che per argomento.
Aspetto di particolare interesse è il continuo confronto con Freud e la Psicoanalisi e con altre correnti psicologiche anche posteriori, e l’accento posto sugli sviluppi nel tempo del pensiero di Adler.
L’introduzione, dopo aver esposto i presupposti di base della Psicologia Individuale, si occupa di distinguere la psicologia oggettiva da quella soggettiva: utilizzando la coppia oggettivo-soggettivo di Jasper vengono delineate le caratteristiche, in questo senso contrapposte, della teoria freudiana e adleriana.
I primi capitoli sono dedicati all’inferiorità d’organo e alla compensazione. Già questi brani connotano Adler come un teorico del campo in quanto egli afferma che la malattia non può essere compresa come un’entità separata e che l’inferiorità è un concetto relativo alle richieste dell’ambiente e, come tale, va considerata la conseguenza dell’interazione di più forze. È qui presente la prima formulazione della teoria della compensazione: se nell’interazione organismo-ambiente l’equilibrio si altera a sfavore dell’organismo questo reagisce mediante meccanismi di compensazione. Questi scritti possono inoltre essere considerati una prima discussione sui disturbi psicosomatici. Qui Adler si occupa però di quella psicologia delle pulsioni che poi criticherà. Introduce infatti il concetto di “trasformazione delle pulsioni”, un’idea che assunse grande importanza in Freud ma che in Adler presagiva solo il successivo punto di vista per cui tutti i fattori causali, comprese le pulsioni, vanno poste in relazione alla meta finale dell’individuo e al suo stile di vita.
Nello stesso periodo (1908) Adler ci parla della pulsione aggressiva come pulsione superiore (poi protesta virile) e Freud rifiuta il concetto su cui invece ritornerà tra il 1920 e il 1923 dandogli il nome di “pulsione distruttiva o di morte”. Inoltre assistiamo alla presentazione del precursore del sentimento sociale, il bisogno d’affetto, la cui soddisfazione dipende da altre persone al contrario della libido freudiana, diretta verso se stessi, autoerotica o narcisistica.
Negli anni 1910-1911 Adler, riconoscendo un “sentimento soggettivo d’inferiorità”, compie il passaggio dalla psicologia delle pulsioni, biologica e oggettiva, alla psicologia soggettivistica psicologicamente orientata. L’inferiorità d’organo diventa psicologicamente attiva attraverso l’intervento del sentimento d’inferiorità. Questa posizione non è più conciliabile con il pensiero psicoanalitico.
Adler utilizza in questi scritti termini sessuali ma in contrapposizione all’uso che ne fa Freud: maschile e femminile sono metafore di forza e debolezza. Fa ricorso a queste analogie probabilmente, spiegano gli Ansbacher, perché fa ancora parte del circolo psicoanalitico e perché l’analogia di superiorità maschile e inferiorità femminile era particolarmente adatta per la situazione sociale europea di quel momento.
Da qui comunque gli atteggiamenti e le opinioni divengono il nucleo centrale della sua psicologia. “Il temperamento nervoso” utilizzerà il motto “omnia ex opinione suspensa sunt”.
Rilevante in questo periodo la critica al concetto freudiano di sessualità, apice di uno sviluppo che porta alla rottura con la Società Psicoanalitica. Il testo riporta un resoconto storico dei contenuti degli incontri del 1911 con gli interventi dei vari partecipanti. In un incontro di gennaio Freud critica il carattere astratto del pensiero adleriano, la tendenza antisessuale e il primato dell’Io, ritiene incoerente la sua interpretazione delle nevrosi e lo accusa perfino di occuparsi più di biologia che di psicologia. Stekel sositiene invece che le idee di Adler rappresentino un miglioramento della teoria della nevrosi e che non siano affatto in contrasto con il pensiero freudiano. Freud risponderà che ciò non tiene conto di un aspetto importante, ossia che sia lui che Adler ritengono che ci sia invece una contraddizione nei loro punti di vista. Nella successiva seduta del consiglio Adler si dimise da presidente della Società.
Gli autori mettono in evidenza come la teoria della finzione di Vaihinger e il positivismo idealistico abbiano influenzato il successivo sviluppo del pensiero adleriano. Secondo Vaihinger le finzioni sono idee comprendenti elementi inconsci che non hanno una controparte nella realtà, ma che svolgono la funzione di metterci nelle condizioni di fare i conti con essa in un modo migliore di quello che si sarebbe potuto fare diversamente. Inoltre la finzione è soggettiva, è una creazione dell’individuo. Quando Adler associa al concetto di finzione quello di meta fa capire che la sua idea di causalità è soggettivistica: l’uomo è orientato al futuro, ma essendo le mete e il divenire funzionali, questo futuro è un futuro soggettivo e non oggettivo, anche se i fattori oggettivi di eredità e di ambiente, l’inferiorità d’organo e le esperienze passate sono utilizzati dall’individuo nella formazione della propria meta finale. Tale causalità corrisponde quindi ad un determinismo relativo. Ad esempio, mentre Freud ritiene che certi eventi oggettivi modellino il bambino, per Adler l’individuo si forma la propria opinione del mondo e di se stesso pur partendo dalla situazione oggettiva in cui si trova.
Nel 1912 (“Il temperamento nervoso”) Adler introduce il termine “ideale della personalità” e lo utilizza in modo intercambiabile con quello di “meta finale funzionale”. Nel 1914 Freud formula il suo Ideale dell’Io che più tardi diviene il Super-Io. Ci sono però delle differenze: l’ideale di Adler è la meta di un movimento proiettato in avanti, è una creazione dell’individuo ed è postulato per ognuno, ma soprattutto è il principio unificante della personalità; quello di Freud invece è l’elemento sostitutivo del narcisismo perduto dell’infanzia, si trova in alcuni individui e non in altri ed è solo un dei “tre regni”.
Per quanto riguarda il sentimento d’inferiorità e la spinta al suo superamento gli Ansbacher evidenziano le analogie con il “quasi bisogno” di Lewin, “l’esperienza d’imperfezione” di Goldstein e la teoria bisogni di Maslow.
La meta di Adler è una meta di superiorità. Gli autori si soffermano su questo concetto per porre in evidenza un passaggio fondamentale del pensiero adleriano: inizialmente lo schema di riferimento è il nevrotico, poi diventa l’uomo normale. Questo perché Adler nel periodo tra il 1920 e il 1930 sviluppa un criterio di normalità, il sentimento sociale.
Il suo punto di vista sul sentimento sociale è basato chiaramente su una componente positiva innata, Freud lo considera invece il risultato della formazione reattiva considerando la giustizia sociale un modo di privarsi di molte cose con lo scopo che anche gli altri debbano in questo modo rinunciarvi.
L’approccio di Adler fu un’approccio da teorico del campo prima che questo termine fosse coniato. L’individuo è considerato in relazione ai gruppi d’appartenenza, è studiato come essere inserito in un contesto sociale.
Anche il concetto di stile di vita con la sua “legge del movimento” è molto vicino alla dinamica della teoria del campo e alla Psicologia della Gestalt. Wertheimer parla del dominio di una meta che controlla e dell’origine comune di azioni che all’apparenza possono sembrare incoerenti. È lo schema di appercezione (campo fenomenico per la Gestalt) che fa vivere ogni individuo nel suo mondo soggettivo, per questo nessuno ha una visione definitiva della realtà.
La personalità e il modo individuale di percepire sono in mutua interazione, da un lato il Sé può essere compreso da come un soggetto percepisce, dall’altro la percezione si comprende solo conoscendo la meta dell’uomo. Questo è molto simile al pensiero a cui giunse Bruner.
Il pensiero antitetico è per Adler un pensiero primitivo, caratteristico del temperamento nervoso. Con questo presupposto affronta una questione di cui poi si occuperà anche Lewin affermando che il criterio che contraddistingue una buona teoria è quello in cui il posto delle dicotomie è preso da transizioni sempre più fluide. E così Adler non oppone conscio e inconscio ma inquadra la personalità nel suo insieme allontanandosi ancora di più dalla Psicoanalisi.
Per quanto riguarda il complesso d’inferiorità gli autori ci illustrano le tre differenti accezioni con cui Adler utilizzò il termine. In un primo momento gli attribuì una connotazione generale usandolo come sinonimo del sentimento d’inferiorità, sia normale che patologico. In seguito diventa un aumentato sentimento d’inferiorità, definito per chiarezza nel libro “complesso (sentimento) d’inferiorità” (appartiene alla disposizione nevrotica). Ed infine il termine denota i mezzi con cui l’individuo spiega a se stesso e agli altri di non essere abbastanza forte per risolvere un problema in modo socialmente utile, “complesso (sintomo) d’inferiorità” (diventa patologico solo quando il senso d’inadeguatezza sopraffà l’individuo).
Nel capitolo dedicato alle difese nevrotiche possiamo rintracciare alcuni dei motivi della separazione da Freud. Mentre per Freud la rimozione è la condizione preliminare per la formazione del sintomo, per Adler non è che uno dei molti espedienti difensivi e il sintomo origina dall’Io. In seguito Freud si avvicinerà a questa visione affermando che la rimozione non è necessariamente la precondizione per lo sviluppo dei sintomi, ma è solo una difesa dell’Io e che tutti i sintomi sono una forma di difesa. In ogni caso rimane una differenza sostanziale: i meccanismi di difesa di Freud proteggono l’Io dalle pretese pulsionali, gli espedienti di difesa adleriani proteggono l’autostima dalle minacce provenienti dall’esterno e dai problemi della vita. Posizioni coerenti con il loro orientamenti, biologico e sociale.
Anche per quanto riguarda l’origine della nevrosi c’è una differenza molto evidente. Per Freud c’è un agente specifico esterno, il trauma, e il disturbo è sostenuto da fattori costituzionali e esperienze infantili, Adler sottolinea invece la soggettività di ogni fattore dando importanza alla creatività del Sé. Non attribuisce alcun significato veramente eziologico né alla situazione traumatica né a quella conflittuale in sé (la relatività del trauma sarà un concetto presente anche in Maslow).
A proposito dei sogni gli autori illustrano il rapporto tra la teoria psicoanalitica tradizionale e la Psicologia Individuale. Adler riconosce i contributi fondamentali di Freud su questo aspetto: l’importanza degli atteggiamenti affettivi ed emotivi, la distinzione tra contenuto manifesto e contenuto latente, la tecnica delle libere associazioni per comprendere il significato del sogno. Ma trova limitato considerare il sogno esclusivamente l’appagamento di un desiderio sessuale infantile. Il sogno è per Adler un modo per risolvere un problema avvalendosi della forma comparativa del “come se”, è un’espressione dello stile di vita. È in questo modo una metafora, un simbolo, come del resto per lui il complesso edipico.
Il successo della psicoterapia è per Adler il risultato di una riorganizzazione intuitiva dei fattori dinamici, la vecchia organizzazione scompare quando emerge la nuova (analogia con la teoria della Gestalt). È fondamentale la comprensione di ciascun caso individuale nella sua specifica unicità, l’accento va posto sulla comprensione dell’interazione delle diverse forze coinvolte (teoria del campo). Adler esprime inoltre la necessità di controllare i risultati di qualsiasi influenza esercitata durante il trattamento. Il pensiero di Lewin sarà molto simile, in riferimento alla psicologia sociale, quando parlerà di “ricerca in azione”. Altra analogia con Lewin, ma anche con Moreno, nella spiegazione dello sviluppo in termini di relazioni e di posizione nella costellazione familiare.
Adler fu certamente un pioniere della terapia di gruppo, è proprio questo il metodo che adotterà nei consultori all’interno delle scuole. Le sue idee applicate alla scuola assumono una forma molto simile alle tecniche sociometriche (Moreno), alle dinamiche di gruppo (Lewin) e all’insegnamento centrato sullo studente (Rogers).
Tutta la Psicologia Individuale è una psicologia sociale, l’interesse per le tematiche sociali e politiche precedette di fatto il pensiero psicologico di Adler. Egli cercò di spiegare i fenomeni del comportamento di gruppo sulla base dell’aspirazione alla superiorità, del sentimento sociale e delle interpretazioni soggettive della situazione. Nella psicologia sociale dei teorici del campo, soprattutto Krech e Crutchfield, sono presenti dinamiche molto simili. Questi due autori affermano infatti che il gruppo serve ad appagare il bisogno di dominio di alcuni dei loro membri e quello d’appartenenza della maggioranza di loro.
Negli scritti sulla politica della coercizione e la guerra possiamo invece rintracciare il precursore del concetto psicoanalitico di “identificazione con l’aggressore”.
L’appendice del libro è dedicata al rapporto tra Adler e lo sviluppo del pensiero di Freud. Ponendo l’accento sulla distinzione di tre periodi all’interno della teoria freudiana gli Ansbacher rintracciano nel secondo (1901-1922) la maggiore distanza da Adler: la visione meccanicistica dell’uomo ha il predominio e l’Io è privato di ogni potere. L’adesione di Adler fu al Freud degli “Studi sull’isteria” quando il quadro umanistico e la teoria clinica si trovavano al centro della sua dottrina.