in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 55, Roma, Di Renzo Editore, 2004
Noi abbiamo vissuto – nella storia – in spazi diversi.
Lo spazio delle città è stato inizialmente caratterizzato da tortuosità e confusione.
Soltanto nel V secolo avanti Cristo, lo spazio delle città inizia ad essere progettato e concepito con ordine e regolarità.
Come ricorda Derrick de Kerckhove, è stato Ippodamo da Mileto a introdurre nella storia occidentale ciò che sarebbe diventato la tipica griglia urbana: prima, infatti,
..le città sono cresciute senza un piano, semplicemente costruendo ciò che serviva per abitare, difendersi e pregare. Ippodamo ha introdotto un principio di razionalità – un principio che si traduce in ‘proporzionalità’ se applicato all’architettura – che fino alla caduta dell’Impero si è riflesso in ogni aspetto della vita romana. Più tardi l’invenzione della stampa ha rinforzato lo spazio come noi lo conosciamo per strutturare la coscienza culturale e sociale.
De Kerckhove individua una connessione diretta fra alfabetizzazione greca e griglia urbana, evidenziando come l’uso delle lettere per i fonemi del linguaggio abbia introdotto – fra le culture interessate – una nuova relazione con lo spazio.
La connessione – per de Kerckhove come già per McLuhan – risiede nel fatto che l’alfabeto rappresenta una tecnologia centrale dell’elaborazione umana dell’informazione, e la sua applicazione ha esiti non solo sul contenuto dell’informazione ma anche sulla struttura della sua elaborazione.
In sintesi, i Greci – aggiungendo le vocali alla linea di consonanti già in uso nel modello fenicio – hanno reso inequivocabile la decifrazione della sequenza di fonemi: questo ha comportato un radicale cambiamento nella strategia che il cervello usa per decifrare la linea di scrittura.
In tal modo l’approccio analitico ha assunto priorità rispetto a quello contestuale.
Ha così assunto predominanza – nella cultura occidentale alfabetizzata – la tendenza visiva.
Come lettori apprendiamo a rappresentare e interiorizzare il campo visivo e lo riproduciamo nell’immaginazione: le immagini in tal modo riprodotte vanno a costituire il nostro spazio mentale.
L’inclinazione visiva è basata sul “punto di vista” e presuppone una distanza fra soggetto e oggetto.
Secondo De Kerckhove
il dominio della tendenza visiva spinge la realtà, il mondo, lontano da sé, tenendo il mondo per così dire a una distanza ragionevole.
Infatti, se noi ci poniamo in rapporto al mondo in un nostro punto di vista, vediamo il mondo stendersi otticamente dalla superficie del nostro occhio verso l’esterno ed il nostro corpo risulta letteralmente estromesso dallo spettacolo.
Si viene così a configurare una separazione fra “mondo” e “mente privata”, individuale, di chi quel mondo guarda.
Proprio in relazione all’assetto sopra detto, si sta verificando nell’ultimo decennio uno sviluppo psicologico radicalmente nuovo, indotto dalla cosiddetta rivoluzione digitale, ovvero dalla introduzione nella quotidianità delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Si sta formando quella che De Kerckhove chiama “mente connettiva”.
Le nuove tecnologie – il World Wide Web, Internet – stanno svolgendo il ruolo prima ricoperto dall’alfabeto.
L’alfabeto e Internet possono essere considerate due tecnologie della mente, due strumenti diversi per guardare e comprendere il mondo.
L’alfabetizzazione, come si diceva all’inizio, ha strutturato una griglia attraverso cui guardare la realtà; l’internettizzazione sta strutturando una rete attraverso cui immergersi in quella medesima realtà.
Oggi il nostro privato spazio interno è continuamente sfidato e forse già ristrutturato dall’emergenza del cyberspazio, il nuovo ambiente cognitivo supportato dai media elettronici.
Se, prima, ci ponevamo nel nostro punto di vista per guardare la scena del mondo, oggi ci troviamo in un punto di stato situato nella scena medesima.
Viene a cadere la distanza fra soggetto e oggetto: immersi nel cyberspazio ci troviamo in un campo attivo di interazioni.
Viene anche a cadere la predominanza visiva tipica della cultura alfabetica: la cultura del cyberspazio è infatti digitale, è il tatto che ci conduce nel mondo.
…
Lingiardi e Gazzillo osservano che, nelle relazioni on line,
la mediazione delle due macchine (e tutte le sue implicazioni) sembra, in alcuni casi, la condizione dell’intimità. La maggior distanza relazionale si rivela un lenitivo delle angosce fusionali o persecutorie.
Gli Autori sottolineano che il tema relazionale in questione è quello del raggiungimento di una distanza ottimale.
Qui ci troviamo in pieno accordo.
Il problema della distanza, che è, nell’ottica proposta da molti Autori, il nucleo centrale della patologia borderline, vede infatti il soggetto oscillare continuamente tra sentimenti di abbandono, solitudine e helplessness da una parte e sensazioni di “ingolfamento oggettuale” dall’altra.
La patologia borderline, paradigmatica – per Fonagy – della nostra epoca, può essere utilizzata come metafora e figura esasperata di molte caratteristiche relazionali contemporanee.
Le relazioni on line sembrano infatti, anche a parere di chi scrive, configurare la possibilità di una “distanza ottimale” per quei soggetti che – nella vita reale e nei concreti incontri – stentano a trovare la “distanza giusta”.
Nelle relazioni on line si può essere, nello stesso momento, vicini e lontani.