in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, n. 17 “Abbandoni”, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013 – Estratto
Psicopatologia e mistero
Quando afferrai la mia tenebra, sopra il mio capo calò la notte splendida e magica, il mio sogno mi proiettò nella profondita dei millenni e lì sorse la fenice.
Jung
“Un padre insegnava al figlioletto ad essere meno pauroso, ad avere più coraggio, facendolo saltare già da una scala. Mise il bimbo sul secondo gradino e disse: «Salta che ti prendo» e il bimbo saltò. Poi lo mise sul terzo gradino dicendogli ancora: «Salta che ti prendo». Sebbene il bimbo fosse impaurito, si fidò di suo padre, fece ciò che gli era stato detto e saltò sulle sue braccia. Poi il padre lo mise sul quarto gradino, sul quinto, sul sesto, dicendo ogni volta: «Salta che ti prendo» e ogni volta il bimbo saltò e fu preso da suo padre. E così continuarono finché il bimbo saltò da un gradino molto alto, ma questa volta il padre si tirò indietro e il bimbo cadde a faccia in giù. Mentre si rialzava, sanguinante e piangente, il padre gli disse: questo ti insegni a non fidarti mai di tuo padre”.(1)
Il racconto di questa storia apre lo scenario ad una molteplicità di riflessioni che spaziano in vari ambiti ma che hanno come tema comune il senso della fiducia e la capacità di abbandonarsi, ovvero di lasciarsi andare al libero accadere psichico.
Abbandonarsi comporta che l’Io possa vivere l’esperienza di mettere da parte gli usuali schemi e punti di riferimento che utilizza quotidianamente per sperimentare ciò che non appartiene alla sua dimensione ma a quella del Sé, l’archetipo del senso e del significato. Allora l’abbandono si pone come una prospettiva da cui l’Anima, vero e proprio Archetipo della vita, funge da ponte simbolico di collegamento e di unione tra l’Io e il Sé, il mondo del parziale e quello della totalità, del finito e dell’infinito.
La possibilità da parte dell’Io, organizzatore della vita psichica e reale, di entrare in relazione con una altra sfera, quella del Sé, con l’ausilio del confronto dell’Anima è una occasione che arricchisce l’Io stesso nel sopportare le frustrazioni e le delusioni umane, cogliendo inoltre la bellezza della vita nei suoi incomprensibili paradossi ed enigmi. L’Anima in tale contesto viene intesa come una prospettiva riflessiva sugli eventi che accadono, vero e proprio spazio psichico in cui l’impulso ad agire viene tenuto in sospensione e l’eros ne colora il senso, trasformando la resistenza al lasciarsi andare nel piacere di sentire l’Uno unito alla totalità senza perdere la propria unicità .
Il confronto dell’Io con l’Anima fertilizza le parti aride della Psiche, quelle resistenti al coinvolgimento emotivo che, avendo vissuto l’abbandono in tenera età senza delle braccia che ne hanno accolto il lancio nel vuoto, fanno fatica a vivere la spontaneità. Tale confronto dialogico e dialettico irriga con l’acqua, simbolo dell’energia libidica, terreni rocciosi in cui il seme piantato non riesce a trasformarsi in fiore, aprendosi alla luce solare della consapevolezza che parte dal cuore piuttosto che rimanere unicamente prigioniero delle ombre del regno di Ade. Allora l’Io, padrone sconosciuto nella propria dimora, incomincia a percorrere le stanze della sua presenza incontrando vissuti, esperienze, ricordi, atteggiamenti che affondano le radici nell’esperienza dello stare in connessione, dove gli eventi si trasformano in esperienze psichiche e il letterale lascia il posto all’immaginale. È l’Anima che nutre di linfa vitale la fragilità dell’Io, lo irrobustisce nel legame con la vita, unendo il sotto col sopra, le radici con i rami, attuando una dimensione circolare e non lineare di ciò che accade, invocando in tale contesto il mito dell’eterno ritorno. L’Io allora guardando l’Anima, comprende il senso metaforico ed immaginale della vita, integra la propria funzione organizzatrice e reale con quella immaginale, dove il mito dell’eroe, rappresentato dalla forza erculea di affrontare e vivere le esperienze della vita, lascia il posto alla favola di Eros e Psiche.