in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 14, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012 – Estratto
Nel testo di Freud, Al di là del principio del piacere (1920), vengono descritti due istinti fondamentali Eros e Thanatos. Eros promuove e sostiene la vita, Thanatos la annienta. Sembrerebbe un meccanismo di una semplicità estrema, ma noi dobbiamo chiederci che cosa “attiva” cioè mette in azione l’uno o l’altro istinto. Gli istinti non sono per loro natura, controllabili, ma a prezzo di un duro lavoro possono essere “educati” e quindi trasformati.
Guarderemo, adesso, il mondo femminile e in particolare il corpo della donna, non solo come destinatario dell’attenzione e del desiderio, in quanto forma vivente dell’altera pars, ma anche come un “soggetto-oggetto” che ci consente di gettare una luce su quella particolare forma di relazione che si sviluppa nell’incontro tra autore e vittima di un reato. Guarderemo, cioè, in quello spazio circoscritto nel quale si consuma un gesto delittuoso, partendo, come sempre si fa, dalla cosiddetta scena del crimine.
Per l’investigatore, la scena del crimine, è il luogo, delle tracce e dei reperti, dove si è consumato un gesto violento tra due o più persone, con esiti esiziali per uno di essi; per lo psicologo-criminologo, è lo spazio dove attraverso le tracce, i residui dell’agito di un individuo, dà un’identità all’autore del reato, e soprattutto, un significato agli effetti di quelle azioni, su un altro individuo: la vittima. Infine, aggiungeremo in questa circostanza, il lavoro di osservazione che farebbe uno psicologo analista, per ripercorrere e/o ricostruire l’itinerario profondo che ha guidato il gesto dell’autore e le possibili, eventuali, “connivenze della vittima”.
In una prospettiva dinamica dell’evento, la vittima non è quasi mai totalmente “neutra” o del tutto passiva. Qualcuno potrebbe obbiettare che spesso le vittime di gesti particolarmente efferati non conoscevano affatto il loro carnefice, trasformandole solo per questo, in vittime innocenti, ma questa circostanza viene in qualche modo a cadere dal momento dell’incontro, non solo per le implicazioni relative al luogo, ma anche per gli atteggiamenti che la vittima assume durante l’azione. In un omicidio si realizza, forse, la più tragica interazione significativa tra due esseri umani: la perversione erotizzata di una passione distruttiva, che tende ad eliminare proprio l’oggetto della sua passione. Passione, parola che appartiene alla tradizione filosofica dove possiede un significato contrario e correlativo all’azione […] In preda alla passione il soggetto, infatti, non agisce, ma subisce (in greco patheìn). Dunque la passione rende inconsapevoli, o per lo meno attenua fortemente le capacità di controllo che un individuo ha su di sé. In qualche modo è vittima di se stesso.
Sia ben chiaro che analizzare lo svolgimento di un processo interattivo con tutte le implicazioni connesse alla mancanza di consapevolezza in uno o in entrambi i partecipanti, processo durante il quale emergono o vengono alla luce perfino eventuali responsabilità della vittima, non può e non deve, mai, esser letto come segno di colpevolezza della stessa. In fondo, la vittima, porta su di sé i segni dell’azione, con sé il segreto dell’azione del suo carnefice, ma, nello stesso tempo, ne svela l’intenzionalità attraverso il suo corpo ferito.
Nel gergo letterario si dice che la vittima ha un appuntamento col suo carnefice, introducendo un tema di “fatalità” nell’evento. Il Fato ci rimanda ad una lettura mitologica dei fatti che, mal si coniuga con la visione scientifica delle scienze positive. Come sappiamo, il principio che governa le teorie alla base di queste scienze è formulato sul dettato di Popper che considera valide ed accettabili solo teorie ed esperimenti che si prestano al vaglio della “falsificabilità”. Il criterio di falsificabilità afferma, dunque, che una teoria per essere controllabile, perciò scientifica, deve essere falsificabile. Il criterio di verosimiglianza al quale si affida Popper si scontra, però, con un dato elementare: ogni teoria, sempre di principio falsa, può implicare infinite previsioni false e infinite previsioni vere; dunque la differenza di validità del loro contenuto informativo non risulta quantificabile su un piano meramente logico e si basa sulla ripetibilità (dunque una verità solo statisticamente verificabile) e sulla corrispondenza (principio di similitudine). Non tutto può essere compreso da un’unica teoria scientifica.
Abstract
In questo lavoro si esamina il versante del femminile che uccide “se stessa nell’altra”, ovvero del femminile che “regola i conti” sia con un materno devastante e castrante, sia con una sorella. Di una donna che uccide un’altra donna. Questo intervento si configura come analisi di un percorso psicologico che va da una alterata percezione e negazione dell’identità femminile, un’attribuzione delle proprie qualità “all’altra” e il gesto violento che sembra configurarsi come un rito di “riappropriazione di sé” attraverso l’eliminazione fisica di colei che ha rappresentato l’oggetto reale su cui convogliare le sue fantasie. Il caso di Firenze in una lettura che va al di là dell’interpretazione investigativa e giuridica del fatto reato, per sondare e descrivere le radici profonde, psichiche, del gesto violento. Ma anche una suggestione che intende valutare il delitto come un’opera d’arte: l’unica azione possibile per quell’autore per esprimere compiutamente se stesso.