Kurt Eissler su Jung e la calunnia

Kurt Robert Eissler, Psicoanalisi della Calunnia. Tre casi di ingiustizia, 1993. Traduzione italiana a cura di Irma Pirrotti. Roma, Astrolabio, 1996 (pp. 182, £ 30.000)

E’ il secondo caso di ingiustizia, trattato da questo allievo di August Aichorn, che ci interessa nel contesto del revival di biografie junghiane degli ultimi anni. Il programmatico titolo del relativo saggio suona «C. G. Jung come testimone ovvero l’inattendibilità dei ricordi» e compendia in parte, come Eissler precisa in nota, un lavoro pubblicato nel 1982 sugli aspetti psicologici della corrispondenza Freud-Jung. L’ingiustizia in oggetto riguarda quella parte dell’intervista, rilasciata nella propria casa di Küsnacht da Jung al professore di psicologia John Billinsky «il 10 maggio 1957 alle ore 16.30», nella quale Jung rivela al suo intervistatore che la rottura con Freud non fu tanto originata dalla disputa sullo scritto Trasformazioni e simboli della libido, quanto dall’aver appreso, con conseguente grande strazio, da Minna Bernays, la cognata di Freud, che la relazione di lei con il padre della psicoanalisi «era molto intima». Dal momento che anche Meier, definito da Jung il suo miglior allievo, conferma il resoconto di Billinsky (diversamente da Bennet il quale, intervistato da Eissler a Londra nel luglio del 1972, ne aveva sostenuto il carattere fittizio), la testimonianza di questo altrimenti oscuro americano di Filadelfia (che si era perfezionato all’Istituto Jung di Zurigo) è da ritenersi attendibile. Dunque, secondo il nostro autore, è Jung a essere inattendibile. Il saggio di Eissler è tutto teso a dimostrare l’inattendibilità del ricordo junghiano e a spiegarne l’origine su basi biografiche (il complesso paterno, il fratello maggiore morto prematuramente, il conflitto omosessuale conseguente all’attentato omosessuale subito da ragazzo), psicopatologiche (una psicosi quadristadiale con tanto di tabula rasa iniziale, regressione, vissuti di fine del mondo, riparazione e grandiosità), nonché variamente improntate a variegata meschinità personale (la proiezione delle proprie vicissitudini sentimentali su Freud, l’ingratitudine, la vendetta, il desiderio di trionfo postumo su un uomo intollerabilmente sentito come superiore). Il primo a negare l’esistenza d’un ménage a trois di Freud, Martha Bernays e Minna Bernays era stato, ovviamente, Jones nel 1953. La questione era stata però riportata all’attenzione del pubblico dall’articolo che Billinsky pubblicò nel 1969 col titolo «Jung and Freud (The end of a romance)». Il lettore interessato può valutare per conto suo la bontà delle argomentazioni portate a favore della propria tesi da Eissler. Il quale, per molti versi, appare poco attendibile quanto a conoscenza della psicologia junghiana. Ritiene ad esempio che la divergenza sulla religione tra Jung e Freud consistesse nel fatto che il primo la considerava una questione di pertinenza della metafisica, il secondo di quello della psicologia e della cultura. Ritiene inoltre erroneamente, Eissler, che quando Jung, nella famigerata lettera inviata a Freud il 18 dicembre 1912, «in modo trionfante» contrappone «la riuscita della propria analisi all’autoanalisi di Freud», si stia riferendo a una analisi fatta con Freud. Ha buon gioco Eissler a ritenere ingiustificato su questa base il vanto di Jung. Freud, sostiene Eissler, non l’avrebbe certamente avallato, non avrebbe mai dichiarato completa «l’analisi cui aveva sottoposto Jung» (p. 93). Ora, non è certamente all’analisi condotta con Freud (nella misura in cui essa può ritenersi propriamente un’analisi) che Jung si sta riferendo quando parla della riuscita della propria analisi. Ma non è questo il punto che qui mi preme sottolineare. Il punto è, ancora una volta, lo statuto della menzogna e, anche, la capacità di tolleranza, di integrazione della menzogna, della sua realtà, Wirklichkeit e, insomma, felicità/infelicità degli effetti. Due scenari sono possibili. Il primo: Jung non ha mentito. Freud ha vissuto un ménage à trois. Eissler non sembra poter neanche sostenere tale possibilità. E lo dice chiaramente. Se le future ricerche proveranno che Jung ha detto il vero su Freud e Minna Bernays, allora «si renderà necessaria una revisione delle idee che ci siamo fatti fino a oggi intorno a Freud». E prosegue: «Il suo puritanesimo non sarebbe così incrollabile come si crede, e avremmo sopravvalutato la sua capacità di interiorizzare i conflitti» (p. 126). L’immagine che solca la scena è quella d’una famiglia, la famiglia Freud, «in cui regnavano notevole armonia, genialità e allegria» (p. 126). Prova (supplementare) ne sia che nessuno dei figli di Freud (a differenza di quanto avvenne nel caso dei figli di Marx) fu «afflitto da psicopatologie particolarmente serie che potrebbero far pensare a un’atmosfera familiare lacerata da conflitti» (p. 126). Non ha ragione Jung quando si pronuncia negativamente sulla qualità della relazione di Freud con la moglie. In realtà in tale proiettivo pronunciamento pesa il fatto che è semmai lui, Jung, a intrattenere una relazione insoddisfacente con la moglie Emma, sposata per convenienza. Minna Bernays non ha mai confidato a Jung il segreto della propria relazione intima con Freud. Jung non ricorda bene, mente, calunnia. Jung è del resto un mentitore confesso, come appare dalla sua autobiografia. Ha mentito al proprio padre in fin di vita, ha ingannato un paziente parlando con la madre a sua insaputa. Ha mentito a Freud su Sabina Spielrein. Uno Jung menzognero occupa il secondo scenario che si apre alla nostra considerazione. Ed è certamente questo lo scenario più denso di sviluppi, più reale, più felice, lo scenario col quale occorre fare veramente i conti. E ciò indipendentemente dal fatto che un giorno sapremo come sono andate veramente le cose. Come sono andate veramente le cose non è il punto. Ci troviamo qui su un piano analogo a quello che abbiamo visto fare buona mostra di sé nel saggio di Mikkel Borch-Jacobsen su Anna O. Non soltanto le isteriche mentono. O, forse, le isteriche non mentono. Sono gli uomini a mentire e mentirsi. Ha mentito Freud. Ha mentito Jung. Si sono mentiti i due. E, intanto, all’ombra delle menzogne di Freud, delle menzogne di Jung, del loro mentirsi sono nate la psicoanalisi e la psicologia analitica.

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Giorgio Antonelli