in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 16, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013 – Estratto
Alcuni tra i personaggi più brillanti e creativi della storia – tra i quali Platone, Pitagora, Newton e Leibniz – furono profondamente influenzati dallo studio della kabbalah. Anche Goethe mostrava un profondo interesse per questa antica conoscenza e molte delle sue intuizioni, così come gli scritti di Rudolf Steiner, si fondano su principi cabalistici. Giovanni Pico della Mirandola nel suo testo De Hominis Dignitate del XV secolo, sosteneva che l’autentica interpretazione della Legge divina si chiama kabbalah. Le conoscenze cabalistiche sono sempre state tramandate per via orale a pochi privilegiati, ma fu solo negli ultimi anni che la kabbalah si è aperta alla divulgazione attraverso i più popolari e moderni mezzi di comunicazione. La ragione per cui questa antica saggezza, occultata da millenni, si sta rivolgendo attualmente a tutto il mondo è che i suoi principi fondamentali – la “mondializzazione”, la connessione tra tutti gli esseri umani, l’unità e indivisibilità della Natura – si stanno manifestando in modo sempre più chiaro, dinanzi ai nostri occhi increduli, in modo tale che non occorre nemmeno più usare la terminologia cabalista, ma possiamo servirci delle parole usate dalla scienza moderna per esprimere gli stessi concetti della kabbalah.
Il grande cabalista Baal Ha Sulam afferma che “Dio” è la Natura nel suo complesso, da lui considerata come una singola unità. Questa unità non si applica solamente al nostro pianeta ed alla vita su di essa, ma all’intero universo nelle sue dimensioni fisiche e spirituali. Quando i cabalisti parlano di D-O, o del Boré (il nome di Dio, per un cabalista è troppo potente per essere pronunciato) non lo intendono come solitamente viene inteso, nel suo significato religioso di un essere onnipotente da adorare e obbedire per essere ricompensati. I cabalisti identificano D-O con la Natura: Ha Teva (la Natura) ha lo stesso numero ghimatrico (86) di Elohim (Dio) e sono quindi, per la kabbalah, la stessa cosa. Ciò che i cabalisti chiamano “le Leggi di Dio” sono quindi “i Comandamenti della Natura” e viceversa.
All’origine dei tempi, secondo la kabbalah, D-O si era rifugiato in se stesso e si era contratto, creando un unico punto di oscurità. Da questo punto vuoto nacque lo spazio ed il tempo, la materia e l’universo sconfinato che conosciamo. Furono innalzati dieci veli per occultare l’infinita Luce (le dieci sefirot o livelli dell’occultamento) in modo tale che non siamo più nemmeno consapevoli del significato della parola “Creatore”. A questo moto divino viene dato il nome di “contrazione”.
Il mondo così come appare ai nostri sensi fisici, ci racconta Michel Laitman, è un velo superficiale che nasconde una complessa e meravigliosa rete di movimenti, reazioni e attivazione di forze. Quando queste forze interagiscono e si intrecciano in un determinato modo fanno sì che si manifesti una realtà piuttosto che un’altra, sia dal punto di vista fisico che emotivo: nascita e morte, salute o malattia, pace, amore, conflitti… così come tutte le sfumature intermedie degli accadimenti umani. Questa interazione esiste ad ogni livello dell’esistenza, dal più elevato a quello apparentemente più insignificante: dal livello cosmico- interstellare a quello sub-atomico, dalle relazioni internazionali a quelle personali, tra le nazioni e popoli così come tra i nostri corpi.
Se partiamo dal presupposto che per i cabalisti niente esiste nell’universo tranne il “Creatore” (“La Sorgente Originaria” che inizialmente si era contratta) e la Sua creazione (il nostro mondo), seguendo i principi della kabbalah, possiamo dire che le nostre percezioni e le immagini da essa create sono i mezzi attraverso i quali “il Creatore” – che preferisco chiamare “La Natura” o “L’Essenza” – appare alla nostra coscienza. Quindi tutti i mondi, così come tutto ciò che noi crediamo esista al di fuori di noi, in realtà esistono solo in relazione a noi: tutto esiste in relazione a colui che percepisce la realtà in un determinato modo. Questo è molto vicino a ciò che oggi descrivono molti scienziati moderni, filosofi della scienza, studiosi di fisica e teorie dei sistemi, che iniziano a prendere seriamente in considerazione questi concetti.
Proseguendo con la visione cabalista, tutto il mondo non è altro che un teatro, nel quale le scene delle nostre vite sono interpretate dagli oggetti inanimati, dal regno vegetale, animale e parlante. Siamo tutti attori di questo teatro, ma non conosciamo ancora il copione, né il suo autore e nemmeno il direttore che gestisce lo spettacolo. Raggiungere il Mondo Superiore per la kabbalah significa comprendere questa “supermente” che dirige l’universo, conoscere le sue leggi – le leggi della Natura nel suo complesso – ed attingere alla forza ed alla volontà che soggiace ai differenti livelli dell’esistenza. Sul palcoscenico di questo teatro che chiamiamo Vita, ad ogni fase dell’elevazione spirituale descritta dai cabalisti, ciò che percepiamo si avvicina sempre di più all’Essenza. Nell’ultima fase di questa “scala” saremo finalmente in grado di percepire “l’unica cosa veramente esistente” e nient’altro che Quella. E’ un po’ come “entrare nella stanza dei bottoni” e raggiungere la comprensione che ci permette di cambiare la nostra vita ed il nostro destino, ma ancora più importante stabilire una connessione (vicinanza) con “il Direttore.”
Nel mondo spirituale, dicono i cabalisti, la vicinanza o lontananza da qualcosa non è valutata nel senso spaziale come nel mondo materiale, ma in senso “qualitativo”. Nel mondo spirituale siamo vicini a qualcosa nella misura in cui acquisiamo le qualità o attributi di quel qualcosa. Unirsi con il Creatore significa essere simile a Lui e secondo la kabbalah Lui è il “desiderio di dare” e di amare, in contrasto con la sua creazione che è solamente “desiderio di ricevere”. Raggiungiamo l’unione con Lui, nella misura in cui acquisiamo i suoi stessi attributi o desideri: il desiderio di dare e di amare che nasce dentro di noi si chiama Anima. La realtà che percepiamo quindi non è sempre la stessa, questa dipende dalle nostre qualità e dai nostri desideri: di dare o di ricevere e della capacità di amare o odiare.
Abstract
Gli elementi della Natura nel suo complesso, tranne gli esseri umani, si comportano come se avessero un’innata percezione della totalità alla quale appartengono: le cellule sane collaborano le une con le altre dentro l’organismo, sostenendosi reciprocamente. Se non obbedissero a quest’ordine naturale, le cellule entrerebbero in conflitto e combatterebbero le une contro le altre come se fossero tutte creature unicellulari. Quando si verifica questa disfunzione all’interno di un organismo la diagnosi è il cancro: le cellule cancerose combattono fra loro per accaparrarsi l’ossigeno e gli elementi nutritivi, provocando la distruzione di se stesse e dell’organismo che le ospita. Uno degli aspetti che caratterizzano l’attuale caotica situazione globale è l’interdipendenza insieme alla sempre maggiore alienazione degli uomini, gli uni nei confronti degli altri: continuiamo a comportarci come se fossimo “separati”, quando in realtà siamo tutti collegati, e lo siamo molto di più di quanto riusciamo ad immaginare. Nel sistema integrato della nostra attuale comunità globale ogni persona deve rendersi consapevole del fatto che il destino di ogni uomo dipende dal suo comportamento e dalle sue azioni verso gli altri, nel senso che è il mondo intero a pagare il prezzo degli errori che commettiamo. I precetti di tutte le religioni del mondo e della kabbalah in particolare girano intorno alla frase: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Questa frase è molto di più di un discorso religioso o etico, è una legge della Natura, ma soprattutto una legge di sopravvivenza.