in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 12, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011 – Estratto
Ciò che Jung difende strenuamente non è solo il diritto di contestare Freud, ma anche e soprattutto la difesa della sua personale libertà di pensiero e di applicazione clinica. Non può sopportare un “giuramento da adolescenti” in cui non si può discutere il Verbo pronunciato dal Messia dell’Inconscio! Tale era anche il “patto” sulla sua teoria della sessualità, ed anche a questa Freud voleva costringere il futuro erede a genuflettersi e a considerarla intoccabile e impeccabile.
Così Freud perse la stima di Jung, che si ritirò consapevolmente dalla schiera dei suoi allievi, e proseguì solitario e sicuro il suo cammino, apportando alla pratica clinica ed alla teoria dell’inconscio il suo gigantesco e fertilissimo contributo.
Se ci siamo soffermati sul dissidio Freud-Jung è perché questo contrasto segna – secondo noi – un grosso punto a favore non soltanto di Jung, ma evidenzia anche tutto ciò che è importante, sostanziale per l’ipnosi.
Illustri studiosi di formazione psicoanalitica freudiana e lacaniana, come Leon Chertok, Raymond de Saussure, ed Isabelle Stengers hanno capito e dimostrato in scritti imprescindibili per chi voglia interessarsi al problema, le motivazioni del rifiuto di Freud nei confronti dell’ipnosi, e non staremo qui a ripetere le loro difficilmente confutabili teorie che noi condividiamo in pieno, ma accenneremo soltanto ad esse, integrandole con la nostra modesta aggiunta della teoria della libertà dell’inconscio in ipnosi. Se Freud inventa la psicoanalisi è proprio grazie all’ipnosi. Dall’ipnosi che per lui è troppo sfuggente e indomabile, incontrollabile e misteriosa, irripetibile in tempi e modi sempre uguali, e soprattutto incostante nei suoi effetti, ecco che, pur conservando e onorando la trance che definisce transfert, Freud trasforma un metodo troppo libero e apparentemente fumoso in una disciplina composta da quelli che Jay Haley nel suo libro Strateghi del potere definisce “gli stratagemmi della psicoterapia” e che considera dei pilastri incrollabili e intramontabili nei tempi, nei luoghi e nelle persone. Insomma un’invenzione perfetta, come quella del martello, che pur avendo origini antiche resta insostituibile e immutevole e soprattutto sempre efficacissimo. Questa scelta, direbbe Aldo Carotenuto, dipende dalla metapsicologia personale di Freud, che sentiva di dover controllare completamente il setting – peraltro da lui escogitato – per ottenere gli effetti terapeutici desiderati.
Abstract
Nel suo articolo, l’autore Amedeo Caruso inquadra i rapporti tra Jung e l’ipnosi attraverso una sintetica rivisitazione della carriera scientifica del fondatore della psicologia analitica. Inoltre spiega le ragioni che lo hanno spinto alla riscoperta dell’ipnosi, sull’onda di esperienze freudiane e junghiane refrattarie all’utilizzo della trance. Partendo dalla sua curiosità per l’ipnosi e dallo stupore per l’imprigionamento della stessa in un dimenticatoio, Caruso spiega come l’incontro con Ernest Rossi, il più famoso allievo di Erickson, e il lavoro svolto insieme a lui, lo abbiano convinto a riflettere su quanto e come Jung abbia soltanto “trasformato” l’ipnosi appresa da Janet a Parigi nel cosiddetto metodo dell’immaginazione attiva, tesi avvalorata anche dallo psichiatra James Hall. L’ipnosi, cacciata dalla porta sia da Freud che da Jung, è in realtà sempre rientrata, soprattutto ai tempi odierni, mascherata da magico transfert e colorata da immaginazione attiva, dalla finestra di ogni studio psicoanalitico.