in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 12, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011 – Estratto
Laddove nei versetti di Giovanni la vita e la verità sono alienate in un Altro, in un Dio trascendente e inarrivabile se non per intercessione di Cristo, Jung compie un atto di riappropriazione e rimette all’uomo i valori più elevati. La divinità, per l’autore del Liber Novus, abita in ciò che è relativo e quotidiano, e va riscoperta nei più semplici gesti e nei più semplici atti, per esempio nella risata . La divinità, inoltre, perde quell’univocità che sembrava assumere nei vangeli ufficiali e diventa costituzionalmente ambigua. “L’univocità è unilateralità e conduce alla morte. L’ambiguità, invece, è la via della vita” . La pluralità dei significati si condensa nel simbolo, che diviene il nuovo mediatore dell’esperienza religiosa. Tuttavia il simbolo non è staccato dall’uomo: al contrario, l’uomo vi partecipa e vi è sottomesso in quanto è già da sempre abitato dalle forze dell’inconscio collettivo. Attraverso il simbolo, quindi, l’uomo partecipa direttamente del divino. Cristo non è più un mediatore, ma piuttosto un esempio da imitare. Tuttavia il ruolo di esempio assunto dal Cristo non è privo di problematicità. Jung, infatti, rinnega la validità di un modello da seguire. “Guai a coloro che vivono seguendo dei modelli! La vita non è con loro. Se voi vivete seguendo un modello, allora vivrete la vita del modello, ma chi dovrebbe vivere la vostra vita, se non voi stessi? Dunque vivete voi stessi” . Cristo, quindi, non può rappresentare un modello se non in un senso molto particolare, ovvero perché ha vissuto a pieno la sua propria vita e ha percorso fino in fondo la sua propria via, senza cercare modelli, e compiendo interamente il processo d’individuazione. Anche Cristo, infatti, come ogni uomo, è dovuto passare per il sentiero dell’individuazione, che lo ha messo di fronte alla necessità di integrare i contenuti dell’inconscio collettivo. Tale integrazione sarebbe rappresentata dalla discesa di Cristo nell’inferno, un tema che compare in molti vangeli apocrifi e nei testi alchemici, e che Jung riprende nel capitolo intitolato “Il concepimento di Dio”. Cristo è dunque, per Jung, una figura profondamente umana, soggetta alle stesse contraddizioni e agli stessi patimenti che affliggono l’uomo contemporaneo. Se il suo esempio resta valido, il cristianesimo come religione storica, invece, come già annunciato da Nietzsche, deve essere superato. A differenza del filosofo, però, il padre della psicologia analitica non pensa che Dio sia morto, ma che sia soltanto malato. Inoltre, Dio può e deve essere guarito. Senza Dio, infatti, l’uomo non sarebbe completo e avrebbe perso la metà di se stesso. Il Dio rinnovato di Jung non abita isolato, a supreme altezze, ma alberga accanto all’uomo e dentro di lui, tra gli eventi di tutti i giorni, ed abbraccia con un unico sguardo le cose vili e le cose preziose . Sa accoglierlo chi impara ad apprezzare le cose più piccole e a convivere con i propri limiti. Sa accoglierlo chi, niccianamente, non prende la vita con gravità ma la attraversa danzando, grato al miracolo perpetuo della trasformazione. Il Liber Novus, però, non è semplicemente un inno alla leggerezza, ed il pensiero di Jung si discosta dalla filosofia di Nietzsche perché accoglie la profondità. “Profondità e superficie devono mescolarsi, al fine di generare nuova vita” . Ciò che è divino, dice Jung, non si trova né nello spirito del tempo né nello spirito del profondo, ma in un equilibrio tra i due . Per Nietzsche non esiste né divinità né profondità, e tutto ciò che punta nella direzione dell’una o dell’altra non è altro che retromondo, vuota ipostasi della ragione. Per Jung, invece, la profondità è il correlato necessario della superficie, e non si da l’una senza l’altra. La profondità, infatti, non è altro rispetto alla superficie, ma è semplicemente il suo lato immaginifico che non ha meno realtà di ciò che affiora in superficie. Le immagini, ci dice Jung, sono l’altra metà del mondo . Ecco un punto sul quale il padre della psicologia analitica sembra prendere le distanze dal cristianesimo ufficiale, che aveva temuto le immagini e i sogni e li aveva respinti come inganni del demonio. Per l’autore del Liber Novus, infatti, le immagini ed i sogni sono dotati di un’autonoma validità oggettiva e sono di guida all’uomo nel suo cammino. In realtà anche su questo, come su altri punti, Jung sembra rifarsi al messaggio biblico originario a discapito della tradizione dottrinale. Non bisogna dimenticare che secondo la Bibbia l’uomo fu creato ad immagine di Dio. Il padre della psicologia analitica riprende questo punto, ricordando che “la creatura umana è il volto della divinità” . L’immagine è quindi ciò che di più divino si trova nell’uomo. Anche qui l’autore del Liber Novus si trova quindi in piena consonanza con la religione ebraico-cristiana delle origini, ed invece in conflitto con l’interpretazione ortodossa e moderna del cristianesimo. Jung rimprovera allo spirito del tempo di non aver preso in debita considerazione la realtà delle immagini.
Abstract
Il Libro Rosso viene pubblicato in un momento in cui, con la diffusione della consulenza filosofica, vengono riscoperti i legami profondi che uniscono psicologia e filosofia. In effetti, oltre che un lavoro di psicologia, il testo di Jung può essere considerato anche come un’opera filosofica. Il suo richiamo a Così parlò Zarathustra è evidente, ma a differenza di Nietzsche, che constatava la morte di Dio, il padre della psicologia analitica esprime il messaggio positivo di un rinnovamento radicale e di una riscoperta dell’anima. La via dell’anima da lui tracciata diventa l’unica risposta possibile alla crisi delle ideologie politiche e religiose. Di qui il significato profetico del Libro Rosso, che in un certo senso disturbava il suo autore ma che pure si trova annunciato già nel titolo: Liber Novus. Jung v’intraprende un itinerario di ricerca che è al contempo personalissimo ed universale, perché incentrato sulle immagini che affiorano dall’inconscio. Nel suo percorso il padre della psicologia analitica non trova tanto dei valori nuovi, quanto piuttosto trasfonde sotto una nuova luce ciò che la saggezza mitologica e religiosa aveva già scoperto sotto varie forme. L’universo immaginifico che prende vita nelle pagine del Liber Novus ha le sue radici nelle Upanishad, ne Libro dei morti tibetano, negli antichi miti nordici e in una pluralità di altre fonti che attestano la vastissima cultura del suo autore. Jung riscopre tutto questo materiale alla luce della centralità dell’individuo e del suo destino personale, e lo presenta quindi sotto una veste effettivamente nuova, rendendolo accessibile all’uomo contemporaneo e consono alle sue esigenze spirituali. A differenza dello Zarathustra di Nietzsche, quindi, il Libro Rosso è un testo di continuità con la tradizione, e non di rottura. La sua ricerca si condensa nell’affermazione “in noi è la via, la verità e la vita”, che fa eco ai versetti di Giovanni: «Gesù gli disse: “Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno può venire al Padre se non attraverso di me”» (14.6). Nell’articolo cerco di mettere a fuoco in che modo si può ritrovare in Jung l’eredità del cristianesimo e del marxismo, cioè del sistema religioso e del sistema politico che maggiormente hanno segnato la storia dell’Occidente.