in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 15, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012
Fugax ille Mercurius: la materia mercuriale nell’alchimia è estremamente evasiva. E, però, il mysterium coniunctionis avviene da quelle fuggitive, scioglienti parti. Per dirla con Jung: Mercurio è un demone che aleggia tra paziente e psicoterapeuta. Nel transfert di paziente e psicoterapeuta si tratta dunque di un loro venire alle prese con ciò che non può appartenere. Non è proprio nella natura del dio di vincolarsi a una determinata regione, fosse anche quella del setting: non c’è temenos che tenga di fronte alla volatilità degli insight. Non sarebbe forse (stato) il caso di metterli per iscritto, di desecretare l’ars? I supposti custodi dell’ars non sono stati per lo più di quest’avviso, non hanno per lo più scritto manuali di tecnica. Non Freud, non Jung, non Adler, non Lacan e nemmeno Hillman. Il signor P, psicoterapeuta, il cui nome tengo segreto, lamenta proprio questo, che Hillman non ci ha detto nulla di tecnica analitica. D’altro canto il signor H, psicoterapeuta, il cui nome anche tengo segreto, non si dichiara granché impressionato dalla sperimentata (come paziente) ars di Hillman. Né l’uno né l’altro hanno onorato come avrebbero dovuto Hermes attraverso Hillman. Nello stesso tempo il loro duplice lamento è stato il mio hermaion.
Ci si può lamentare del fatto che Hillman non ci ha parlato di tecnica analitica? Certamente no, rimane però l’altro interrogativo: se nessuno la desecreta, come si apprende l’ars? Cosa intende dire Ferenczi quando equipara a un’analisi terapeutica la cosiddetta analisi didattica, questo spazio ipotetico di apprendimento dell’ars nel quale Adler da subito non ripone alcuna fiducia? Cosa analizza l’aspirante analista al cospetto del suo didatta, l’analista supposto insegnare? Il proprio controtransfert, rispondevano gli ungheresi. Il proprio controtransfert, non l’ars. Quanto all’insegnamento dei berlinesi, esso inflazionava l’aspirante psicoanalista di teoria. Navigando lungo la linea spirituale di Ferenczi, Lacan ha ripensato l’assoluta Hilflosigkeit dell’aspirante analista, la necessità che questi sprofondi nell’angoscia dell’angoscia, che sperimenti l’assoluto essere inerme. Si può insegnare l’assoluto essere inerme? L’idea che l’ars sia insegnabile correla con un mondo non hermetico di verità, un mondo sottratto all’inganno. Un mondo immaginario di onnipotenti corrispondenze di oggetti e desideri. All’ombra di Hermes sappiamo però che l’origine è inganno. Non è questa forse la lezione dell’inno omerico dedicato al dio? L’origine non è innocente. L’innocenza viene dopo. L’aspirante analista non deve imparare l’ars, deve sperimentare l’angoscia spingendosi in territorio selvaggio. Lì regna Artemide, lì diventa Atteone: così Giegerich nella sua negativa declinazione dell’anima. Analogamente, se è vero che nella pratica analitica di Ferenczi non si tratta più di tecnica ma di posizione etica, allora occorrerà definire tale posizione come modo di abitare i luoghi. Selvaggio diventa allora l’aspirante analista là dove sa abitare territori selvaggi. Nei territori selvaggi la psicoterapia non è qualcosa che deve essere fatto, è qualcosa che accade.
Abstract
Hillman non ha scritto un manuale di tecnica analitica. Nemmeno Freud, Jung, Adler o Lacan l’hanno scritto. Questo significa che non ne hanno fatto discorso? Chi scrive di psicologia del profondo può prescindere forse dal fare discorso di tecnica analitica? La tecnica analitica è però un segreto ben custodito. Un sapere da non mettere nelle mani di chiunque. Come si apprende allora da un altro l’ars analytica? Come apprendiamo dagli scritti di Hillman l’ars se Hillman non ne scrive? La risposta è semplice, cioè divina: la si apprende all’ombra del dio Hermes, il dio dell’arte occulta ma anche il dio ladro. Si apprende dall’altro, il soggetto supposto custodire il segreto, a dispetto dell’altro, si apprende, per dirla con Lacan, facendo a meno dell’altro a condizione di servirsene.