in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 10, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2010 – Estratto
La lunga storia della festa funeraria tripartita – Halloween, Ognissanti e Defunti– assume con lentezza la sua forma attuale.
Dopo la fusione “furtiva” di Halloween con la festa di Ognissanti, nella liturgia latina ufficiale si compone un altro binomio. In occasione della riforma cluniacense del 998, l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny (961-1049) inaugura una abitudine liturgica. Al termine dei Vespri – cioè dopo le preghiere comunitarie serali – il 1° Novembre le campane dell’abbazia suonano alcuni rintocchi funebri pro requiem omnium defunctorum. L’abate dedica – alla fine della festa di Ognissanti – un ricordo annuale a beneficio della totalità dei defunti cristiani.
Probabilmente la paura millenaristica della fine dei tempi sollecita la premura mortuaria di Odilone.
Il rito viene gradatamente esteso a tutta la Chiesa Cattolica come festività del 2 Novembre. Ma appare in forma ufficiale solo nel XIV° secolo nell’Ordo Romanus, cioè nell’elenco delle festività accettate.
Perché la festa dei morti si espande nella cultura liturgica del cristianesimo occidentale proprio nel XIV° secolo? Che cosa cambia in quel periodo relativamente al tema del finis vitae?
Il XIV° secolo ha rappresentato una stadio di profonda metamorfosi per la storia della morte in Occidente. Studiosi come Johan Huizinga, Michel Vovelle e Philippe Ariès hanno documentato con una straordinaria messe di informazioni il passaggio dalla “morte addomesticata” – dei cavalieri della Chanson de Geste, ad esempio – alla “morte proibita” dei tempi moderni. Nella concezione collettiva del destino dell’individuo, che perdura fino al XIII° secolo, l’uomo non è ancora staccato dalla natura. Egli “subiva, con la morte una delle grandi leggi della specie e non pensava né a sottrarvisi, né ad esaltarla”.
Fino a quella data i terreni delle Chiese raccoglievano le salme dei defunti, accumulandoli in cimiteri comuni, anche all’interno delle aree urbane. Era la sepoltura ad sanctos, cioè vicina alle salme dei santi: la salvezza era acquisita in misura della contiguità con il sacro. Contro questa usanza di esequie sì scaglieranno i divieti di pubblica igiene contenuti nell’editto di Saint-Cloud. Legge napoleonica a stampo illuministico, in polemica con la quale – a sua volta – Ugo Foscolo nel 1807 scriverà I sepolcri. Come per Halloween, gli ideali romantici di coabitazione degli uomini con gli spiriti dei morti risorgono contro ogni tentativo di razionalizzazione.
A partire dal XIV° secolo – dicevamo – si riconsolida il rapporto fra la morte e la biografia di ogni singola vita, che l’arte romana aveva esaltato circa fino al V° secolo d.C. Si passa dall’et morietur – in ogni caso moriremo tutti – alla “morte di sé”. La morte diventa una sempre più intollerabile rottura con il presente, una separazione dolorosa dai propri affetti personali.
Il testamento notarile – il cui uso massivo comincia in questo secolo – non rappresenta solo un atto di diritto privato per la trasmissione dei beni. Rappresenta soprattutto un modo per affermare l’unicità dei propri intendimenti anche di fronte all’estremo addio. Compare la personalizzazione delle sepolture, l’arte funeraria, l’ars moriendi. Il ricordo tombale conferisce al morto una specie di immortalità che in principio era estranea al cristianesimo.
Angeli e diavoli, corpi in decomposizione, scheletri in movimento compongono i soggetti delle “danze macabre”, stile pittorico, scultoreo e letterario che si sviluppa presso le corti. Anzi – spiega Huizinga – lo stesso termine “macabro” fa la sua comparsa ad opera di un poeta francese, proprio nel XIV° secolo. Sicuramente la grande peste che dal 1347 al 1352 devasta e spopola l’Europa favorisce l’irruzione dei temi funebri. Ma l’aspetto che in questa sede preme sottolineare è che il memento mori che la pastorale degli ordini mendicanti divulgava cessa di condurre al contemptus mundi. Non immette al disprezzo, all’allontanamento dal mondo, alla ricerca dell’anonimato. Il memento mori diventa metariflessione artistica, gesto estetico in funzione di godimento.
Danze macabre e arte funebre sono a favore dei vivi.
Dal punto di vista teologico – ci fa notare Novelle – il passaggio coincide con l’avvio del primo Giubileo del 1300. Halloween è il controcanto popolare di questa richiesta di delega da parte della Chiesa. Il Giubileo evoca il pericolo del Giudizio divino dopo la morte, mitigabile con pellegrinaggi e indulgenze; Halloween frequenta le anime dei defunti senza intermediazioni, senza procure e senza finanziamenti a terzi.
Abstract
Halloween. Zucche e streghe, santi e defunti
Perché da qualche anno è entrata nella nostra tradizione mortuaria la festa di Halloween? Perché ci si veste da streghe e scheletri, si pitturano zucche e si chiede trick-or-treat: dolcetto o scherzetto? Per quale motivo –oltre alla accondiscendenza ai costumi anglofoni – abbiamo importato una festa celtica, irlandese prima e americana poi, di coabitazione con gli spiriti, che le gerarchie cattoliche mal digeriscono? Davvero Halloween è una variante edulcorata della festa in onore di Satana, come affermano i più teologicamente documentati? O è solo un modo “noir” per divertirsi? E soprattutto quale trasformazione nella nostra concezione della morte e quindi della vita Halloween riflette e diffonde? L’etimologia (“All Hallows Eve”, Vigilia di Tutti Santi) colloca la giostra dei fantasmi il 31 Ottobre. Cioè il giorno precedente alla festa di Ognissanti, nella quale sono onorati tutti i santi e i martiri del paradiso. Sia coloro che la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente come tali sia coloro che hanno camminato sulla via dell’eterna beatitudine senza clamore. Nel calendario liturgico la festa di Ognissanti è seguita, il due Novembre, dalla Commemorazione dei Defunti. La vicinanza delle due celebrazioni, Ognissanti e Defunti, ribadisce – secondo la dottrina di Josè Maria Escrivà – la chiamata alla santificazione di ciascun vivente nel suo specifico ambito. Qui e ora. Ebbene, che cosa di diverso o di eversivo Halloween rappresenta nei confronti della nostra consolidata liturgia cattolica? Quali elementi funerari, quale psico-tanatologia la festa di Halloween mette in scena? In questo contributo si prendono in esame gli atteggiamenti più vicini alla nostra cultura europea nei confronti della morte, affidandoci ai testamenti religiosi e filosofici, agli studi storici e alle creazioni artistiche (compresi i fumetti) che hanno affrontato l’argomento. Con particolare riguardo al doppio filone – simbolico/trasformativo e affettivo/relazionale – su cui si è sviluppata la psicologia della morte. Da questo punto di vista Halloween è stata descritta come una variante “somatocentrica” nel rapporto con il mistero dell’oltretomba. Gli spiriti si manifestano in sembianze umane e i bambini si travestono da spiriti. Halloween è l’apologia del trickster, del briccone, figura universale di scaltrezza nei confronti del divino, ben descritta da Jung. Nella leggenda di Jack-o-lantern sono presenti i tre elementi “cosmogonici” della festa delle streghe: la sospensione del protagonista fra Inferno e Paradiso, la coabitazione con spiriti maligni umanizzati. E infine lo scacco che ad essi l’uomo riserva attraverso l’esercizio del suo ingegno e della sua intraprendenza. Jack-o-lantern è un self-made man: il suo peccato di hybris, la sfida al demonio, incarna uno stile di condotta audace e vincente. Halloween è l’entusiasmo per un mondo macabro e spaventoso che l’uomo avvicina, ammansisce, manipola e alla fine trasforma in burlesco. Halloween è in fondo la parodia di una morte, che non produce né timore né tremore. I riti di Halloween inseriscono l’individuo dentro un cosmo spiritistico ma al contempo gli garantiscono la fiducia – che noi chiameremo ‘euristica’ – di poter gestire l’angoscia della fine, negandone la dimensione tragica.