Cos’è la psicologia individuale

Alfred Adler, Cos’è la psicologia individuale, 1931

Cos’è la psicologia individualeL’incipit del libro è dedicato al significato: l’uomo non sperimenta mai dei fenomeni puri e semplici, ma dei fenomeni in rapporto al significato che essi hanno per lui, alla propria esperienza. Se l’uomo sfuggisse ai significati si troverebbe isolato. L’uomo non si chiede necessariamente quale sia il significato della vita, ma, attraverso le proprie azioni, costruisce continuamente un senso individuale ed esprime una valutazione implicita del mondo e di se stesso. Nessuno è in possesso del significato assoluto, ma alcuni significati sono “migliori”, nel senso che ci mettono in grado di conoscere la realtà del genere umano. Possiamo considerarli “veri” in quanto condivisibili.

Gli errori commessi nell’attribuzione di significato alla vita possono essere corretti solo riesaminando la situazione in cui è stata fatta l’interpretazione erronea e modificando lo schema di appercezione. Questo, se avviene, avviene dopo una pressione sociale, ma una correzione migliore necessita di qualcuno che sia addestrato alla comprensione di questi significati.

L’idea di Adler è che l’uomo sia condizionato da tre vincoli. Il primo si riferisce al fatto che viviamo sulla terra e che il nostro sviluppo è influenzato dalle restrizioni e dalle possibilità che ci offre l’ambiente. Ogni nostra azione rappresenta una risposta alla condizione della vita umana. Il nostro corpo è debole e la nostra situazione insicura, per questo dobbiamo sempre lottare per trovare una risposta migliore. Il secondo vincolo è rappresentato dal fatto che ci sono altri uomini intorno a noi con i quali viviamo in società. Il singolo uomo è limitato e, se rimane da solo, non può raggiungere gli scopi che si prefigge. Per sopravvivere dobbiamo quindi essere in armonia con gli altri, dobbiamo cooperare. Terzo ed ultimo vincolo è la divisione in due sessi degli esseri umani: ciò implica il problema dell’amore e del matrimonio. Da come l’uomo risponde ai problemi che scaturiscono da questi vincoli si evince quale sia il significato che attribuisce alla vita. Questi problemi non si presentano mai divisi, e la soluzione di uno facilita quella degli altri. Costituiscono tre aspetti della stessa situazione, ossia la necessità per l’uomo di proteggere e perpetuare la vita nell’ambiente in cui si trova.

Chi fallisce nella vita fallisce perché manca di senso sociale. I fallimenti dei criminali rappresentano solo un aspetto più grave dei fallimenti comuni. Ciò che distingue il criminale non è la lotta alla superiorità, presente in ognuno di noi, ma la direzione della sua lotta. Ossia una meta che non implica utilità per la società. Il crimine non è una cosa isolata in se stessa, ma il sintomo di un atteggiamento verso la vita.

Nessuna esperienza è la causa di un successo o di un insuccesso, noi non soffriamo per un trauma, ma ne ricaviamo ciò che si adatta ai nostri scopi, siamo autodeterminati dal significato che attribuiamo alla nostra esperienza. “Non esiste costrizione né dovuta all’ambiente, né all’ereditarietà”.

Ci sono però delle situazioni, nell’infanzia, che fanno cadere più facilmente in errore: avere delle imperfezioni organiche o aver sofferto di qualche malattia, essere viziati o trascurati.

Un bambino che possiede organi imperfetti a volte può raggiungere risultati migliori di bambini normali perché lo svantaggio può rappresentare uno stimolo a fare di più. Questo però succede solo se la mente trova la tecnica giusta per superare le difficoltà. Solo un bambino che non è sempre concentrato su se stesso riesce a compensare con successo le sue imperfezioni. E la capacità di cooperare si sviluppa per la prima volta nella relazione con la madre. L’abilità della madre, o la mancanza della sua abilità, influisce su tutte le potenzialità del bambino. Deve far sperimentare al bambino la prima presenza di un essere umano degno di fiducia e poi far si che il bambino estenda questo sentimento di fiducia fino ad includere tutta la società. Il complesso di Edipo, ad esempio, viene visto da Adler come il prodotto di un’educazione sbagliata. Il bambino desidera occupare tutta l’attenzione della madre e liberarsi di chiunque altro ma questo desiderio non è di natura sessuale, è un desiderio di controllo di un bambino viziato. Il ruolo del padre è ugualmente importante, solo che all’inizio i suoi rapporti con il bambino sono meno intimi e solo in seguito diviene efficace la sua influenza; fra l’altro è sempre compito della madre suscitare l’interesse del bambino nei confronti del padre. Se la cooperazione tra i genitori è scarsa essi non possono insegnare al figlio a cooperare. E’ ugualmente importante la cooperazione dei figli tra loro. La posizione in famiglia lascia un’impronta indelebile sullo stile di vita.

Adler dà molta importanza anche alla scuola, che considera un’estensione della famiglia. La vita sociale ha bisogno di un grado di istruzione più elevato di quello che si può dare in casa. Quando il bambino inizia ad andare a scuola affronta una nuova prova che rivelerà qualsiasi errore esistente nel suo sviluppo. L’insegnante, possibile strumento di progresso sociale, dovrebbe cercare di correggere questi errori interessandosi al bambino, capendo cosa desta maggiormente la sua attenzione. Sarebbe utile, ad esempio, risaltare la finalità pratica di ciò che si studia, dando delle spiegazioni aderenti al resto della vita quotidiana. Adler a questo proposito parla anche dell’istituzione dei Consigli Consultivi che propongono una collaborazione tra scuola, famiglia e psicologi.

Per aiutare le persone a conoscere il proprio stile di vita e a correggerlo, se necessario, sono utili i sogni, in quanto la personalità è la stessa nel sogno e nella veglia ma, nei sogni, la pressione delle esigenze sociali diminuisce e la personalità ci si rivela con minori protezioni e simulazioni.

L’individuo sogna per cercare una guida per il futuro, una facile soluzione ai suoi problemi. Se durante il giorno lottiamo per raggiungere la meta della superiorità, anche di notte siamo impegnati nello stesso problema perché il sogno è un prodotto dello stile di vita e, in quanto tale, contribuisce a rafforzarlo. Sogniamo se non siamo sicuri della soluzione dei nostri problemi perché nel sogno, non dovendo affrontare la situazione in tutti i suoi aspetti, questi ci appaiono più facili ed il problema è sminuito e condensato finché non ne resti solo una parte. Lo scopo del sogno è appoggiare lo stile di vita che contrasta con il senso comune, “il sogno è nemico del senso comune” e “lo stile di vita è padrone dei sogni, e farà sempre sorgere i sentimenti di cui l’individuo avrà bisogno”. Quindi nel sogno, per Adler, ci autoinganniamo. Ed è per questo motivo che il sogno usa il simbolo e la metafora che non parlano il linguaggio del senso comune. E non li comprendiamo perché altrimenti non potrebbero ingannarci, perderebbero il loro scopo.

Anche se dimentichiamo i nostri sogni rimangono i sentimenti che questi hanno fatto sorgere, “il sogno è soltanto il mezzo, lo strumento per stimolare sentimenti e sensazioni: lo scopo del sogno sono i sentimenti che esso lascia dietro di sé”.

Adler condanna l’opposizione freudiana conscio-inconscio che attribuisce al sogno una legge particolare in contraddizione con le leggi del pensiero quotidiano. L’autore considera il pensiero antitetico non scientifico. Per lui uomo-donna, normale-anormale etc non sono delle contraddizioni bensì delle varietà, dei gradi di una scala. Non condivide inoltre il background sessuale che Freud attribuisce ai sogni perché in questo modo essi non vengono visti come espressione dell’intera personalità, ma solo di una parte di essa. Della teoria freudiana apprezza però la considerazione che non è importante il sogno in se stesso, ma i pensieri che ne sono alla base.

L’interpretazione dei sogni è sempre individuale, è impossibile utilizzare una formula. Quello che Adler ritiene sia da tenere in considerazione è l’umore che il sogno ci lascia e la sua coerenza con lo stile di vita nel suo insieme.

Anche i primi ricordi non vanno sottovalutati perché ci forniscono le circostanze in cui si è cristallizzato lo stile di vita, ciò che l’individuo ha scelto come punto di partenza per il proprio sviluppo.

Non esistono ricordi casuali, i ricordi rappresentano la “storia della vita” che l’individuo ripete a se stesso per mantenersi sul suo scopo finale e per prepararsi ad affrontare il futuro con uno stile d’azione già collaudato. I ricordi non possono mai contrastare con lo stile di vita.

Tanto la mente, quanto il corpo sono manifestazioni della vita che hanno reciproci rapporti nella totalità dell’esistenza. L’uomo si muove e non può quindi essere dotato solo di corpo, prevede e calcola in che direzione spostarsi, per questo ha bisogno di una mente. La mente governa il corpo finalizzando i suoi movimenti. C’è una meta da raggiungere. Però anche il corpo influisce sulla mente, è lui che deve essere mosso, e la mente può farlo muovere solo in armonia con le capacità che possiede o che può essere addestrato a sviluppare. “Corpo e mente cooperano come parti indivisibili di un tutto unico”. E tutto questo per conseguire un’ideale meta finale che dia sicurezza. Tutti gli errori psicologici consistono in un’ erronea scelta della direzione del movimento, e tutti i sentimenti si adattano sempre al conseguimento della meta.

Nei primi quattro cinque anni di vita l’individuo fissa la sua unità mentale e costruisce i rapporti tra mente e corpo. Adatta il suo materiale ereditario e le impressioni che riceve dall’ambiente al suo desiderio di superiorità.

Attraverso gli organi l’individuo viene a contatto con l’ambiente e riceve da esso delle sensazioni. Quindi dal suo corpo, dalla sua postura, dal suo sguardo possiamo capire quali sensazioni è pronto a ricevere, come vengono selezionate le impressioni. E, di conseguenza, la psicologia è per Adler “la comprensione dell’atteggiamento di un individuo nei confronti delle sensazioni percepite dal suo corpo”.

Ogni emozione trova sbocco in una manifestazione somatica, l’individuo mostra la propria emozione in una forma visibile e cambiamenti di stato si possono verificare anche negli apparati.

In questo libro Adler si propone anche di dare una definizione sistematica di concetti sui quali ha più volte insistito e che formano le basi della Psicologia Individuale. Primo fra tutti il complesso d’inferiorità: esso si manifesta quando un individuo deve affrontare un problema che non può risolvere in maniera adeguata ed esprime la sua convinzione di essere incapace di risolverlo. Il senso di inferiorità produce sempre una tensione e quindi si verifica necessariamente un movimento di compensazione che tende a trasformarlo in senso di superiorità, senza però avere la funzione di risolvere il problema, in quanto esso si manifesterà negli aspetti futili della vita ed il problema reale verrà soffocato. L’individuo restringerà il proprio campo d’azione preoccupato di evitare una sconfitta, non di darsi da fare per avere successo. E per far questo sceglierà il mezzo più consono al suo stile di vita e alla sua esperienza, il fine è comunque sempre lo stesso: “acquisire un senso di superiorità senza far niente per migliorare la situazione”. Tutti i sintomi delle nevrosi, come appunto complesso di inferiorità e superiorità, rivelano un contesto entro cui il movimento è limitato. Il sintomo in se stesso è sempre perfettamente adatto a raggiungere quel determinato fine che il soggetto si è prefisso. La Psicologia Individuale è contro l’attacco al sintomo: se si riesce ad eliminare un determinato comportamento il soggetto troverà immediatamente una nuova strada per raggiungere il suo scopo. Perché finché la meta è la stessa egli deve continuare a perseguirla. Va individuato quindi sempre lo scopo che spinge ad adottare quel sintomo e se questo scopo è coerente con la meta generale di superiorità. Modificando lo scopo si modificheranno anche le abitudini e gli atteggiamenti mentali.

Il sentimento d’inferiorità non è anormale in se stesso, anzi spesso è la causa dei miglioramenti dell’umanità. Nessun uomo si troverà mai ad aver raggiunto la sua meta finale, ad essere padrone dell’ambiente che lo circonda, ma per l’individuo disposto alla cooperazione la lotta tende al bene comune e non ci sarà la preoccupazione per l’impossibilità di raggiungere la meta più alta, uno stato di sicurezza assoluta, anzi, secondo Adler, “il nostro interesse per la vita è suscitato soprattutto dalla mancanza di certezza”.

Altro aspetto sui cui l’autore ritorna è la protesta virile, condizione espressa dalla donna che, sentendosi inferiore all’uomo, anche e soprattutto a causa della nostra cultura, disdegna l’idea di appartenere al sesso femminile. Spesso il disprezzo del ruolo femminile viene espresso più intensamente nel periodo adolescenziale, ma comunque la protesta virile si può esprimere con svariati tipi di comportamento, anche opposti (arrivando fino all’omosessualità, perversioni o prostituzione). Anche i ragazzi possono soffrire di protesta virile: sopravvalutano l’importanza di essere maschi considerando la virilità come un ideale che dubitano di essere abbastanza forti da raggiungere. L’importanza data alla virilità dalla nostra cultura può dunque creare difficoltà sia alla donna che all’uomo, soprattutto quando non c’è la convinzione del proprio ruolo sessuale. I bambini dovrebbero sapere subito a quale sesso appartengono, però Adler sconsiglia di dar loro informazioni sessuali superflue e non adeguate. È meglio aspettare che il bambino diventi curioso e ponga delle domande.

Per comprendere lo stile di vita di una persona lo psicologo, secondo Adler, dovrebbe “leggere tra le righe” ad esempio cercando di scoprire, da come si esprime un soggetto nella sua professione, ma anche in ogni altro campo, quale sia il sentimento specifico che cerca di compensare. Non bisogna quindi fermarsi in superficie, ma ricercare l’unità della personalità che è fissa comunque si manifesti. Il contenuto di uno stile di vita non si esaurisce mai in una singola espressione. Lo psicologo individuale raccoglie indizi da una quantità di piccoli segni.

Il trattamento è, secondo Adler, una prova di cooperazione perché può aver successo solo se siamo interessati all’altro. Lo psicologo deve cooperare con il paziente per scoprire i suoi errori, non perdendo di vista questo scopo non correrà “il rischio di provocare dei transfert” e di esercitare la propria autorità ponendo il soggetto in una posizione dipendente.

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L'autore
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Daria Filippi