in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 46, Napoli, Liguori, 1999
Il pellegrinaggio a Canterbury diventa una metafora dell’analisi e del trattamento analitico. Intanto è qui in gioco quella che un altro poeta inglese, Keats, avrebbe chiamato capacità negativa. Da intendere, nel caso di Chaucer e dei suoi pellegrini, come atteggiamento dell’anima che sa guardare al viaggio e non si preoccupa di voler a tutti i costi raggiungere una meta e porre in questo modo fine al viaggio stesso. Se fosse Ferenczi a conversare sub specie psychoanalytica con l’opera di Chaucer, direbbe che vale in essa il principio che regola la possibilità di terminare i trattamenti analitici. Tale principio si nomina, paradossalmente, nell’infinità e nell’atemporalità dell’inconscio. Se, in altri termini, si vive l’analisi come processo infinito, allora essa può giungere a termine. Se il pellegrinaggio raccontato da Chaucer è infinito allora può terminare. Se non termina, dobbiamo pensare che l’infinità non lo abbia sostenuto. In ogni termine deve farsi in qualche modo presente l’infinito.