Caro Hillman. Venticinque scambi epistolari con James Hillman. A cura di Riccardo Mondo e Luigi Torinese, Bollati Boringhieri, Torino, 2004
Caro Luigi,
(mi rivolgo a te perché con Riccardo Mondo, il coautore del libro, ho minore confidenza) mi sembra che la tua ultima fatica segni una svolta rispetto ai precedenti interessi di scrittore. Ti ho apprezzato fino ad ora sul versante della Medicina omeopatica e della Biotipologia. Adesso –per usare la metafora della prefazione- ci offri una cornucopia colma di altri doni, quelli della Psicologia Analitica e del suo grande guru ed apostata: James Hillman.
Non vedo discontinuità fra le tue due anime anche perché –lo sai- ti seguo a qualche passo di distanza, essendo farmacista e psicologo e avendo quindi goduto dell’utilità di entrambi le tue produzioni. Non ci sono aut/aut ma solo et/et nella mente di chi considera l’universo governato da un’unica Anima mundi. Eppoi la lievità, l’eleganza e allo stesso tempo il rigore con cui porgi il materiale rende gradevoli e armoniosi anche i contenuti più apparentemente difformi, come è il caso di ‘Caro Hillmann.., testo che tu stesso hai definito ‘polifonico’.
Vorrei cogliere l’occasione di questo spazio per riprendere in forma epistolare (come una prosecuzione dello stile del libro) due specifiche osservazioni sul tuo lavoro che sono emerse durante le presentazioni romane alle quali ho partecipato. Le ho colte e coltivate nel mio giardino. Te le riconsegno in questa lettera, ora che sono fiorite, come espressione del valore e della critica esortativa che mi permetto di rivolgerti.
Un’operazione polifonica e da briccone, è stato detto dell’opera e quindi dei suoi autori; polifonica e didascalica (cioè didattica, antologica, riepilogativa, retrospettiva etc..) dico io, anche per togliere l’elemento di opportunismo che il vocabolo briccone conserva in chi non si rifà direttamente all’accezione junghiana del termine. Spiegherò in seguito questo viraggio.
Nessuno dubita che il dispositivo stilistico che hai scelto per discutere con Hillman, e di Hillman, sia corale e proceda per giustapposizioni di voci, possedendo il testo quattro linee macrotematiche dai confini sottili e permeabili. Anzi la personalità ‘politeistica’ dell’interrogato risulta sollecitata, quasi sfidata sul suo stesso terreno dalla ‘lègetai pollacòs’ cioè dalle molteplici espressioni con cui i mittenti argomentano il loro punto di vista sulla psiche. E dai molti dardi scagliati alle posizioni coraggiose dello psicologo americano, che negli ultimi anni ha abbandonato il lettino per la finestra, cioè il lavoro del setting analitico –da lui rifondato su una concezione estetica e panteistica della psiche- per un impegno a favore della polis, di cui ancora non sono chiari la natura e la reale concretezza.
Alcune lettere meglio delle altre mi hanno rappresentato. La migliore –avrei voluta scriverla io- è a mio giudizio quella redatta da Veggetti Finzi. Personale, briosa, pungente, lucida, equilibrata. Forse anche più interessante della risposta che ha ricevuto da parte del maestro, il quale oltre alla laconicità –sempre presente in tutte le missive- in questo caso si è avvalso anche di una ironia risentita e di una ripetizione condensata e infastidita degli assunti del suo pensiero.
Troppo rissosa invece, per i miei gusti, quasi violenta.
L’equazione personale è determinata dalla storia individuale, da componenti costituzionali e tipologiche, e da elementi socioculturali. Agisce come un filtro percettivo o, meglio, come un trasduttore interno, che ridefinisce secondo parametri personali la realtà, condizionando l’atto conoscitivo”. Un relativismo inconciliabile con le posizioni archetipiche e con l’interventismo sociale dello studioso americano il quale domanda: “Non sei d’accordo che una psicologia archetipica potrebbe valorizzare la tua teoria della teoria?”
Nel pensiero di Hillman relativo alla seconda fase, quella della “finestra’, lo sforzo del rinnovamento culturale vede come principali ostacoli non più la dimensione intrapsichica dell’Io ma le strutture superegoiche sociali del Cristianesimo e del Cartesianesimo, che considerano rispettivamente il mondo come luogo della Caduta o come Res extensa. In ogni caso di natura inferiore ai territori dell’Anima. Questa nuova missione di Hillman è in genere criticata sotto due aspetti: per aver percepito come necessario l’abbandono del lavoro terapeutico e per la evanescenza dei suoi obbiettivi.
Hillman –dicono gli autori delle lettere- già nelle teorizzazioni della ‘fase del lettino’ si è posto come un rappresentante del pensiero post-moderno, influendo profondamente la cultura del suo tempo. Non si capisce quindi perché lo psicologo americano dal 1989 in poi abbia sentito il dovere di acquisire una nuova identità di ‘terapeuta dell’anima del mondo’, con giustificazioni che minano il fondamento dell’attività del setting.
Difficile definire in che cosa consista esattamente il pensiero post-moderno, diventato una etichetta per la segnalazione delle più diverse confetture. Il post-moderno in estrema sintesi si segnalerebbe per l’apologia del bello e per l’assenza del senso del tragico. Scrive Romano: ‘La mentalità post-moderna, per definizione destoricizzante e deresponsabilizzante, ha fatto piazza pulita del contrasto e del conflitto. O li ha considerati come fenomeni estetici, recuperando la categoria del meraviglioso”.
Se risulta impegnativo avventurarsi nella definizione del concetto di post-moderno di Hillman, ancora più arduo è un giudizio su di esso. Madera lo trova sorpassato: “Mi sembra che Lei non si avveda che la Sua denuncia dell’identità forte, del razionalismo e del puritanesimo sprezzante dei sensi e delle immagini è precisamente la ratifica di ciò che è avvenuto”. La psicologia archetipica, è la psicologia che rappresenta le esigenze di un decentramente psichico che oggi è stato talmente acquisito da diventare eccessivo, frammentante, retorico. Madera vi oppone la ‘psicologia storico-biografica’, che dovrebbe basarsi su una immaginazione creatrice ‘capace di contenere unitariamente le potenzialità’. Diverso è il punto di vista teologico-evoluzionista di Guzzi, per il quale il post-modernismo di Hillman corrisponde ad una analisi esatta della società attuale. Se però ne condivide la diagnosi, Guzzi non condivide tuttavia la terapia proposta dal maestro del politeismo, alla quale contrappone il Mito dell’Incarnazione di Gesù Cristo perché solo l’Incarnazione è il segno della presenza dell’Invisibile nella comune materia della vita. Solo l’Archetipo di Cristo indica la via di salvezza del mondo e non dal mondo come le iniziazioni misteriche greche.
Caro Luigi, da piccolo c’era una cassetta della posta senza nome, accanto alle altre della palazzina in cui abitavo. Ebbene non finivo di meravigliarmi della stranezza della corrispondenza che vi veniva recapitata. Così per Hillman,: la grandiosità, le ambivalenze e la suggestività del suo pensiero lo rendono oggetto delle più articolate proiezioni. Sono d’accordo con chi ha detto, in una di quelle presentazioni alle quali ho avuto il piacere di partecipare, che il vero psicodramma, il vero materiale d’analisi è fornito dalle lettere dei mittenti piuttosto che dalle risposte del personaggio centrale del tuo libro. Personaggio iconico ed enigmatico, così come lo ha disegnato Franco Battiato nella copertina e all’interno del testo. (A proposito: aspetto ancora che mi presenti!)
Caro Luigi, dopo molti elogi al tuo sforzo di creare un concerto armonico attraverso la ricchezza delle dissonanze, eccoci al punto più difficile. Quello relativo al briccone. Non credo che chi ha proposto la definizione volesse riferirsi ai vantaggi secondari di un’opera che chiama a raccolta i migliori rappresentanti apicali di una categoria, quella degli psicologi analisti, nella quale da poco e con autorevolezza e con pieno diritto ti stai inserendo. Anzi in cui ormai occupi un posto di rilievo. L’importanza dell’autore di cui si tratta, Hillman, e l’enorme opportunità di un dialogo epistolare (anche se creato artificialmente) con lui, soprattutto dopo la sua coraggiosa abiura, giustificano (se mai ce ne fosse bisogno) l’oggettiva utilità della tua opera. Ho piuttosto interpretato l’appellativo di briccone nel solco di un’analoga osservazione che ti rivolsi in un’altra mia recensione ad un tuo libro. In quell’occasione (il libro era Biotipologia e la rivista questa stessa), mi permettevo di esortarti ad uscire fuori dalla tana allo scoperto, a non occultarti più dietro la ricca messe di erudizione e di elegante esposizione dei dati, doti che ti hanno reso anche nella categoria dei Farmacisti uno dei più brillanti didatti. Ecco: il termine che userei più volentieri in sostituzione di briccone è forse retrospettivo, oppure divulgativo, o forse ancora antologico.
Hai ormai dimostrato le tue capacità di chiamare a raccolta le persone e le idee che più ti hanno coinvolto, convinto e permesso di crescere. Ma se questo sguardo ‘a ritroso’ è comprensibile nella tua situazione attuale, a mio avviso sarebbe un peccato che diventasse l’unico punto di vista delle tue produzioni, quasi tutte a carattere ‘compilativo’.
Insomma quello che cerco di dirti -con la difficoltà che si prova per non essere fraintesi quando si esprime qualcosa che si reputa importante- è che aspetto di conoscere il tuo pensiero, l’originalità della tua posizione relativamente agli argomenti che esponi con magistrale eleganza. A volte ho l’impressione che i reclutamenti e le citazioni dei pensieri degli altri possano costituire un ostacolo ad una esposizione diretta, magari più dimessa o anche solo più vulnerabile, delle proprie idee. In questo atto non di nascondimento né di copertura ma quasi di ‘priorità didattica’ della propria missione, vedo la bricconeria di chi utilizza gli scudi e le armi della cultura (arte rara) per non voler ancora disporsi nudo alla lotta. Coraggio della solitudine e talora dell’eversione che anche in questa raccolta Hillman ha dimostrato di possedere.
Schiettamente e affettuosamente
Antonio