in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 5, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2007 – Estratto
L’Intercity partito da Roma con destinazione Milano era in viaggio da una decina di minuti quando il signore seduto di fronte a me immerso fino a quel momento nella lettura aveva messo da parte la mazzetta di quotidiani che teneva in grembo e aveva prelevato da una cartella quello che poteva sembrare un libro o un grosso quaderno. Apertolo nelle ultime pagine, tolta dal taschino una penna, si era messo a scrivere con calma riflessiva fino a poco prima di Firenze quando, poggiato al suo fianco il quaderno, si era appisolato. Col vociare della gente alla stazione di S. Maria Novella aveva distrattamente aperto un occhio e quindi aveva continuato a sonnecchiare. Il rumore di ferraglia per il transito sugli scambi non lo aveva turbato più di tanto alla stazione di Bologna, dove molta gente era scesa e ed altra n’era salita. Il treno stava per ripartire quando il signore, svegliatosi di soprassalto, aveva frettolosamente raccolto cartella e giornali e si era diretto con affanno verso l’uscita.
Fu arrivando a Milano che preparandomi per la discesa vidi il quaderno semi nascosto, infilato nel fianco del sedile. Il treno era arrivato in ritardo per il mio appuntamento e io, dubbioso su cosa fare, scartata l’idea di lasciare il quaderno dove si trovava, trattandosi di un oggetto di nessun valore venale che sarebbe stato gettato via dal personale di servizio, lo presi con la speranza di poter trovare al suo interno un recapito per poterlo restituire. Quando la sera aprii quel quaderno nessuna indicazione mi fece risalire al suo proprietario; era un quaderno piuttosto grosso, con una spessa copertina disegnata con segni geometrici colorati, formato da pagine a quadretti, quasi completamente riempito con una grafia piccola, regolare anche se alcune parole non erano di facile decifrabilità: sarebbe stato necessario addentrarsi nel contesto del discorso.
Mi resi subito conto che si trattava di un diario, ma solo dopo un’attenta lettura che mi prese diverso tempo realizzai che era un diario particolare e particolareggiato di una vita segnata dalla psicanalisi e da un lungo pur se interrotto percorso di terapia analitica.
Del contenuto di questo diario vi riferisco come fosse un racconto, con una personale partecipazione perché le tematiche esistenziali dell’autore hanno punti di contatto con le mie così come il suo itinerario psicoterapeutico. Sotto un altro profilo questo diario può essere una testimonianza di un’epoca e getta una luce su come si è evoluta negli ultimi cinquant’anni la pratica psicoanalitica.
Abstract
In questo scritto – inconsuetamente osservati dall’ottica del paziente e non da quella del terapeuta – si dipanano e scorrono i fili che legano l’essere e il divenire, attraverso la catarsi attivata e catalizzata dal rapporto analitico. Il ritrovamento casuale di un diario offre l’occasione all’Autore di illustrare come si è evoluta la pratica e il vissuto della psicoterapia nell’arco di un quarantennio, anche in concomitanza con i mutamenti della società. Da una prima esperienza di psicoterapia d’appoggio, si passa a parlare di una analisi del profondo, che ha attivato un percorso di individuazione, e che ha avuto la sua provvisoria conclusione in una terapia analitica che ha elicitato le capacità creative già presenti nell’inconscio ma sino ad allora non ancora attualizzate.