1970
W. R. Bion, Attenzione e interpretazione, Roma, Armando, 1973.
Figura in questo testo una breve considerazione sullo psicoanalista che «può impiegare i silenzi». Impiega i silenzi, lo psicoanalista, per comunicare materiale non verbale e, se lo fa, scrive Bion, assomiglia al pittore, quando comunica materiale non visivo, o al musicista, quando comunica materiale inudibile. Al di là dell’interesse di questa considerazione, che va legata alla questione dello spazio emotivo e del ripetersi del rapporto contenitore/contenuto (con le connesse questioni della reverie e della funzione a) nell’individuo, nella coppia e nel gruppo, va qui sottolineata una modalità di questo impiegare i silenzi sulla quale Bion insiste molto in Cogitations, la mirabile raccolta di pensieri pubblicata postuma nel 1992 e, in traduzione italiana, quattro anni dopo. Non che in Cogitations Bion lo dica espressamente. Il punto di partenza è la nozione, elaborata da Freud, di attenzione egualmente fluttuante. Bion la ridefinisce come un sognare l’analisi. Lo psicoanalista deve poter sognare l’analisi mentre l’analisi avviene. Ora, a me sembra, che il luogo in cui ciò si rende possibile sia appunto il silenzio. La resistenza (e qui Bion si allinea a una prospettiva già abbracciata, tra gli altri, da Ferenczi, da Reich, da Lacan) è resistenza dello psicoanalista. Il quale (ne è testimone l’angoscia) resiste all’analisi nel momento stesso in cui si rifiuta di sognare il materiale del paziente. La sequenza di equazioni formulata da Bion «non sognare=resistere = non (introiettare)» suona inoltre, in particolare per il verbo messo tra parentesi, decisamente ferencziana. E’ soprattutto quando sogna l’analisi che lo psicoanalista impiega i silenzi, consentendo alla stessa di essere veramente tale.
Estratto da
I silenzi e la psicoanalisi. Rassegna bibliografica, a cura del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, coordinata da Giorgio Antonelli, in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 43, Napoli, Liguori, 1998.