Balint e il difetto fondamentale

Adattato da: Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1996

Ne Il difetto fondamentale. Aspetti terapeutici della regressione (1968) cui figurano due capitoli (XIX e XXIII) dedicati alla mai appianata controversia intercorsa tra Freud e Ferenczi sul tema della regressione e sulle sue ripercussioni nel mondo psicoanalitico. Rilevante, ai fini di una considerazione critica sulla metodica analitica ferencziana, è la distinzione fatta da Balint tra regressione benigna e regressione maligna. Un aspetto molto ferencziano dello scritto di Balint va già rilevato nell’impiego del termine “difetto” o, meglio, nell’aver esplicitamente riconosciuto che detto termine figura quale contributo dei suoi pazienti. Quella della “riconoscenza analitica” costituisce una tematica tipicamente ferencziana. Si pensi ad esempio allo scritto del 1933 “L’influsso di Freud nella medicina” nel quale Ferenczi ascrive alla signorina Anna O., “paziente intelligente” di Josef Breuer, la “scoperta del metodo catartico originario”. Come ricorda Balint, Ferenczi non ha mai dimenticato che la psicoanalisi fu scoperta da una paziente. Va ricordato, a tale riguardo, che anche l’espressione “elasticità della tecnica analitica” Ferenczi la ascrive a un proprio paziente. Per non citare la nota del 13 marzo 1931 dove, in considerazione della iniziativa del paziente, si configura il progetto di una tecnica analitica mai definitivamente stabilita.

Ferenczi ha spinto tale tematica fino agli estremi condannati da Freud e Jones (fino ad affermare di essere stato salvato dalla paziente Elizabeth Severn). Manca, comunque, in Balint, come in qualsiasi altro esponente del movimento psicoanalitico, una qualsiasi ripresa dell’approccio finale di Ferenczi alla tecnica terapeutica (analisi reciproca). Per altri versi si potrebbe facilmente dimostrare che il libro di Balint (non solo questo ovviamente) risponde, almeno in parte (e comunque in gran parte) al quesito: “cosa avrebbe scritto Ferenczi se fosse vissuto oltre il tempo concessogli?”. Se si prende ad esempio in considerazione il capitolo XIV (che reca l’eloquente titolo “La regressione e il bambino nel paziente”) si può agevolmente ravvedere nelle questioni poste da Balint una ripresa e una prosecuzione di quelle poste a suo tempo da Ferenczi in relazione alle richieste regressive del paziente (ad esempio: si deve accettare di prolungare la seduta? o si deve concedere una seduta extra, magari durante le vacanze?).

Tali questioni, e altre simili, rientrano nella generale rielaborazione, operata da Balint, della tesi ferencziana sulla confusione delle lingue. Il linguaggio dell’interpretazione costituisce soltanto un livello del lavoro analitico (tradizionalmente noto come edipico, genitale e che Ferenczi chiama il “linguaggio dell’adulto”). “Soltanto se le nostre parole hanno per il paziente più o meno lo stesso significato che hanno per noi” sostiene Balint “allora l’elaborazione è efficace”. Esiste un secondo livello, però in cui l’interpretazione risulta inefficace, in cui le parole che l’analista pronuncia, la sua interpretazione, non possono essere elaborate dal paziente, perché non hanno per lui “più o meno lo stesso significato che hanno per noi”. Si tratta del livello tradizionalmente noto come pre-edipico, pregenitale o preverbale (in termini ferencziani il “linguaggio del bambino”). Nell’area del difetto fondamentale che è diadica invece che triadica (“immaginaria” invece che “simbolica” come nel livello edipico), l’analista si relaziona al bambino nell’adulto, ne accetta la regressione, evita di interpretare subito in termini di transfert ma accoglie gli acting out del paziente. Sulla scia di Ferenczi, Balint ha non soltanto criticato il concetto freudiano di narcisismo primario, teorizzando invece quello di amore primario, non soltanto ha sostenuto che l’odio risulterebbe da una frustrazione del rapporto basato sull’amore primario (come anche altri freudiani a lui contemporanei, ad esempio Fairbairn), ma ha riportato l’attenzione sul concetto di regressione terapeutica nel trattamento di pazienti particolarmente regrediti.

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Giorgio Antonelli