Con: Cloris Brosca, Paolo De Vita, Bianca Nappi, Davide Gagliarrdini – Regia: Marcello Cotugno – Teatro dell’Angelo – Roma
L’accorto fruitore del web che entrasse nel nostro sito e decidesse di andare alla sezione Recensioni, noterebbe che quelle attinenti al teatro
vertono prevalentemente sui pezzi portati in scena attraverso la regia di Marcello Cotugno. Potrebbe, l’accorto fruitore domandarsi perché.. e magari ipotizzare – se informato dei dinamismi psichici che influenzano scelte e comportamenti – dedurne e / o ipotizzare – nel recensore una Cotugno /dipendenza.
Questa lieve ed anche un poco autoironica premessa per spiegare la prevalenza – nelle recensioni da me fatte – delle notazioni sull’opera registica di Cotugno.
C’è una duplice motivazione:
da un lato il caso e la vita mi hanno fatto stringere un patto di stima con il regista de quo;
dall’altro lato, il mio mestiere e la mia equazione personale di giudizio mi hanno portato e mi portano ad una lettura diacronica della realtà.
Perché osservare la realtà nel qui e ora e contemporaneamente tenere presente il sentiero che i vari dati attuali hanno percorso nel tempo, consente di cogliere elementi rilevanti.
E spesso utili.
Esempio recente: si è data ieri l’ultima rappresentazione di Amori diversi, al Teatro dell’Angelo, in Roma.
In-consuetamente, l’ultima rappresentazione – che di norma vede un pubblico esiguo – godeva di una platea quasi piena.
Inevitabile chiedersene la ragione… e facile trovarla.
Marcello Cotugno nella qualità di regista ha svolto e continua a percorrere una strada non facile: persegue la qualità, anche accettando di portare in scena i propri prodotti in mercati di nicchia, selettivi, non cercando la standing ovation del grande pubblico di massa.
Ed in questa strada Cotugno ha riversato e riversa le acquisizioni esistenziali che progressivamente caratterizzano il suo percorso di Uomo.
Accennavo al fatto che Cotugno predilige il prodotto di qualità e questa sua attitudine lo ha portato a confrontarsi con tematiche mai facili: la depressione, la homeless-life, la mancanza di senso del vivere quotidiano che assai spesso alberga nell’uomo comune e via via sino alle radicali tematiche connesse con la ricerca di senso e con la morte.
Basta ricordare, per fare scarni esempi, Anatomia della morte di.,., Gli amici di Matt, Looking at you (revived) again,,
o Un pensiero per Olga…
In Altri amori, Cotugno si è cimenta con la tematica dell’omosessualità.
Tema all’ordine del giorno oggi, e assai spesso focus di vari polveroni mediatici.
Se un tempo l’omosessualità era segreto / vergogna / stigma, oggi assistiamo ad un ribaltamento nell’opposto: l’omosessualità ha subito un processo di normalizzazione.
Vari elementi, epocali, sostanziali e formali, hanno portato alla mutazione del pensare / sentire collettivo.
Possiamo dire – junghianamente – che nel pezzo sopra citato Cotugno ha saputo attuare una mediazione degli opposti.
Altri amori si configura in una serie di brevi sketch che vertono sulla omosessualità maschile e femminile, ed anche sulla risposta che tale orientamento dell’identità sessuale suscita nei vari contesti: famiglia, mondo del lavoro.
Il risultato – grazie alla bravura di tutti gli attori e con particolare riguardo a Paolo De Vita – è deliziosamente leggero e allo stesso tempo intelligente.
La verve è alta, non c’è mai una caduta di gusto, la volgarità (rischio difficilmente eludibile) è assente.
Torno alla mia visione diacronica per dire che si avverte in Altri amori la crescita dello stesso Cotugno.
Come regista e come uomo.
Alcuni elementi sono rimasti costanti nel tempo, altri sono variati ed evoluti.
Costanza nella predilezione di una scenografia un poco cupa, nei fondali spesso neri, nell’utilizzo sapiente dell’elemento luce che spesso squarcia la cupezza del nero per illustrare un gesto, un sorriso, la mimica dell’attore; costanza nella pregnanza / adeguatezza della colonna sonora e della base musicale.
Variazione nella tonalità emotiva: se i primi pezzi storici passavano allo spettatore un messaggio di s-consolatezza del vivere, di in-sensatezza dell’esistere, man mano e in crescendo il messaggio è divenuto più rassicurante.
Penso al recente My Background, in cui il ritratto generazionale di chi ha vissuto gli anni “80 – oltre a consentire una ricostruzione storica del passato prossimo da molti di noi vissuto in prima persona – avanza e concretizza anche una ipotesi produttiva: si può perdere – e poi ritrovare il Senso.
Bravo Cotugno.. vai avanti così.