Alle origini della terapia cognitiva

Tratto, in parte, e adattato da G. Antonelli, Schizzi genealogici psicofilosofici, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, aprile 2008

Aaron Beck pubblica, nel 1976, Principi di terapia cognitiva (Cognitive Therapy and the Emotional Disorders, nell’originale). La psicoterapia cognitiva si pone in una certa continuità con la seconda forza della psicologia, il comportamentismo, con la differenza (tra le altre e tra le non poche analogie) che il comportamentista mira a modificare i comportamenti, lo psicoterapeuta cognitivo mira a modificare le cognizioni. Se le radici filosofiche del comportamentismo, come scrive espressamente Beck, risalgono al diciottesimo secolo (in particolare all’empirismo di Locke), le radici filosofiche della terapia cognitiva rimontano per lo meno al tempo degli stoici “che consideravano le concezioni (o le concezioni errate) dell’uomo riguardo agli eventi come la chiave per comprendere i suoi problemi emotivi”. Sappiamo ad esempio che lo stoico Crisippo (III secolo A. C.) aveva concepito un libro sulla terapia delle passioni dell’anima (Il Terapeutico o, secondo altri, L’Etico). “Nelle nostre terapie” aveva scritto Galeno “ne facciamo ampio uso”. Le passioni (quelle dalle quali, nella prospettiva dei filosofi ellenistici, bisogna guarire e che nel linguaggio di Beck diventano gli emotional disorders) sono definite da Crisippo “giudizi” dell’anima razionale. Si tratta qui dell’anticipazione di una caratteristica fondamentale del sistema cognitivo di terapia: il contenuto di pensiero influisce sullo stato d’animo, il significato determina la risposta emotiva. Analogamente, di cosa soffre la maggior parte delle persone che avrebbero di lì a qualche anno chiesto una consulenza filosofica? Achenbach, il fondatore della consulenza filosofica, risponde: “di non sapere che cosa pensare della loro vita.” Nelle posizioni cognitiviste, da Crisippo a Beck, è ovviamente presente un’equazione socratica, equazione che ha improntato di sé una parte cospicua della tradizione filosofica. Sennonché già un discepolo di Socrate, Critone, aveva contestato il maestro scrivendo un non pervenuto, ma abbastanza eloquente Non si diventa buoni con la conoscenza. In campo stoico romano, del resto, anche Seneca sosteneva, contro i suoi maestri stoici greci, che non s’apprende la volontà (la quale ultima, però, è un conio romano, non greco). Lo stesso avrebbe sostenuto anche Hume. Viceversa per Spinoza, le idee adeguate non formano alcuna azione di male. La critica di Critone sarebbe riapparsa nell’Etica Nicomachea di Aristotele dove si legge che le cose giuste, belle e buone “non saremo per nulla più capaci di praticarle per il fatto di conoscerle”.

Un ulteriore prodromo della Cognitive Therapy adrebbe rinvenuto nella psicologia individuale di Alfred Adler al quale è stato tributato, anche in tal senso, un deciso riconoscimento dal consulente filosofico Peter Raabe. Adler sarebbe stato, secondo Raabe, uno dei primi autori a sostenere che il comportamento di una persona si origina dalle sue idee. Raabe ha anche rilevato l’equazione adleriana della Terapia del Comportamento Emotivo-Razionale (Albert Ellis) e nella psicoterapia cognitiva di Aaron Beck. Adler, Ellis e Beck, secondo Raabe, condividerebbero numerosi e decisivi assunti: “che le emozioni siano causate dai pensieri, che i disturbi emotivi siano prodotti da pensieri che mancano di alcune qualità epistemiche, che possiamo cambiare i nostri pensieri e perciò le nostre emozioni”. Raabe riconduce la terapia noetica, come anche è stata chiamata, a Platone, Aristotele, Epicuro, Tommaso d`Aquino, Hobbes. Cita anche, Raabe, Epitteto. In effetti i fondamenti della terapia noetica sembrano soprattutto rimontare agli stoici (su sequela di Socrate). L`assunto ultimo è che la ragione è in grado di controllare le emozioni. Assunto che risale almeno a Socrate e che fa pensare al momento cartesiano come totalizzante piuttosto che specifico.

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Giorgio Antonelli