Al di là della psicoanalisi. Otto Rank

Antonelli Giorgio, Al di là della psicoanalisi. Otto Rank, Lithos, Roma, 2008

‘Il nevrotico è, lo sappiamo, un artista mancato. Questa è una tesi antica e ricorrente di Rank. Ma in che senso sarebbe artista e perché mancato? Ebbene il nevrotico è artista in quanto predisposto ad un’esperienza totale, ma è mancato perché impedito dalla paura di mettere in atto la propria predisposizione’ (p. 248). Così scrive Giorgio Antonelli in conclusione del suo ultimo libro ‘Al di là della psicoanalisi. Otto Rank.’

Una frase che potrebbe essere la trascrizione di un pensiero di Carotenuto relativo al rapporto fra nevrosi, terapia e creatività. E che ben si inserisce nel numero di questa Rivista, nella quale –come noto- sono raccolti gli Atti del 10° Convegno del Centro Studi di Psicologia e Letteratura fondato da Aldo Carotenuto, di cui Giorgio è Presidente. Il convegno è dedicato questo anno proprio alla relazione fra ‘Arte e Psicoterapia’.

Del rapporto stretto e avvincente fra arte e psicologia Otto Rank (1884, Vienna – 1939, California) è stato uno degli antesignani e dei più colti divulgatori. Apprezzatissimo dallo stesso Freud, il quale –pur allergico a qualsiasi collaborazione con gli allievi- ha tuttavia per alcuni anni realizzato una edizione dell’Interpretazione dei Sogni molto particolare. In cui egli continuava a curare la sezione clinica e teorica, mentre l’allievo Rank svolgeva la parte di collegamento del sogno con l’arte, la mitologia e il folklore.

Insomma anche quando Rank opera all’ombra del suo mentore viennese lo fa a suo modo. A partire dal significato individuale e collettivo delle opere d’arte. Attraverso un metodo che davvero non mi appare diverso dal concetto di inconscio individuale e collettivo teorizzato Jung. Come ad esempio ne Il tema dell’Incesto nella letteratura e nella leggenda (1912), in cui l’autore pone il progredire di alcune figure letterarie come una misura della relazione fra la coscienza e l’universalità del complesso genitoriale. In particolare da Sofocle (Edipo Re) a Shakespeare (Amleto), fino a Schiller (Don Carlos) e Alfieri (Mirra), la letteratura secondo Rank riflette quello che avviene nella psiche degli uomini. Una specie di Neumann dell’Edipo. L’evoluzione del rapporto dei personaggi di quelle tragedie con le figure di accudimento manifesta il grado di evoluzione psichico della società, nella quale l’opera è stata prodotta.

Rank non è mai stato solo un replicante. Sfogliando il Doppio, ad esempio, mi ha stupito scoprire che egli si è interessato già nel 1914 del rapporto fra cinema e psicologia.

Sempre a proposito del rapporto fra psicologia, arte e creatività, uno dei più godibili capitoli di Antonelli è l’11°, intitolato ‘Perché Rank non ha scritto una storia della psicoanalisi?’. L’autore immagina i temi che si sarebbero potuti trattare. Uno spazio speciale Rank lo avrebbe dedicato probabilmente alla storia del Comitato Segreto. Del quale era stato segretario per circa 15 anni, su invito di Freud che ne aveva anche finanziato con discrezione gli studi fino alla Laurea in Filosofia.

Nel capitolo mai scritto sul Comitato Segreto, Rank –secondo il gioco di immaginazione dell’autore- avrebbe rivolto una attenzione speciale alla sua breve alleanza con Ferenczi contro l’asse Abraham-Jones. Gli innovatori contro l’ortodossia, i fautori della terapia attiva contro i ‘patologizzatori’ di qualsiasi novità. Per la mancanza di coraggio di Ferenczi, che fu richiamato all’ordine dallo stesso Freud, la coppia Abraham-Jones vinse il duello. La psicoanalisi si irrigidì sulla certezza dei suoi dogmi. E Rank emigrò prima a Parigi e poi in America.

Ebbene in quello spazio dedicato al Comitato Segreto -fantastica Antonelli- Rank avrebbe difeso la sua posizione post-psicoanalitica, indissolubilmente legata alla dimensione artistica. ‘L’arte della terapia contro l’ortodossia freudiana (ortodossia alla quale Freud, a dire il vero, è stato in buona parte estraneo), l’arte contro la presunta scienza, la creatività contro la normalità e contro la burocratizzazione della psicoanalisi, il culto della differenza contro la tendenza a mettere in risalto le somiglianze, il controtransfert contro la neutralità, cioè nei termini di Freud, la Indifferenz’. Poichè ‘quando l’uomo nevrotico guarisce, sosteneva Rank, diventa un artista, non un uomo normale’. (p. 232).

Proprio per il suo interesse e la sua fiducia nelle risorse creative dell’individuo, oltre che per lo sforzo di ancorare la vita psichica al presente, il Rank post-psicoanalista ha in seguito riconquistato parzialmente il posto di prestigio che meritava. In particolare è stato eletto come uno dei punti di riferimento più rappresentativi della psicologia umanistica e –insieme alla triade Jung-Assagioli-Maslow- della psicologia transpersonale. Il tema dell’eredità ‘artistica’ di Rank è trattato nel capitolo 8°.

L’arte della psicoterapia è il dunque il centro dell’intenso, innovativo, in alcuni casi avvincente libro di Antonelli. Ma perlomeno altri tre grandi argomenti possono essere messi in evidenza.

Il primo è il costrutto del Trauma della nascita, esposto in un testo pubblicato da Rank nel 1924. Tesi accolta con attenzione e discernimento da Freud, poi con sempre maggiore diffidenza e infine con rabbia e malumore. Personalmente non ho mai capito la posizione sul trauma della nascita da parte di Rank. Anche se Antonelli fa notare che autori come Grof la considerano una proposta teorica d’avanguardia. Rileggendo oggi il libro dell’autore viennese, esso mi appare superato. Indifendibile. L’insistenza con cui Rank arriva sistematicamente alla conclusione che ’l’analisi si dimostra quindi, a conti fatti, come il complemento suppletivo del trauma della nascita, non completamente superato’ (Rank, SugarCo Edizioni, 1988, p. 26) non riesco davvero a comprenderla.

Che valore dare allora alla tesi di Rank che ogni sforzo dell’analisi è teso a pareggiare l’angoscia di un trauma della nascita finora non debitamente considerato?

Lo stesso Antonelli giudica l’opaco testo di Rank non come il più rappresentativo. Il valore di quello scritto che valse al suo autore l’ostracismo dal Comitato Segreto è nella possibilità di interpretarlo alla luce della psicobiografia di Rank. Il figlio che non è riuscito neanche a portare il cognome del padre, ha sentito forte l’esigenza del distacco dal padre Freud. Ha voluto rinascere. E ha teorizzato questa sua esigenza come momento principale dell’attività terapeutica. Al pari di ogni profonda esigenza personale, quando diventa teoria, essa colpisce in parte nel segno ma continua a portare il sigillo di chi l’ha confezionata. La lettura del testo come metafora –Antonelli dice: sub specie mythologica- è ancora attuale. Il letteralismo di quel pensiero, no.

Il secondo argomento è direttamente collegato al primo e rappresenta una innovazione di metodo. Riguarda la valutazione del lavoro di Rank come un’opera composta sotto l’egida di Artemide. Rank -secondo questa analisi- è attuale perché illustra i presupposti di un terapeuta artemideo.

Che cosa vuol dire essere un terapeuta artemideo? Che senso ha l’introduzione di un vocabolario politeistico per rileggere la storia della psicologia e dei suoi eroi? E in quale altro modo, inoltre, si può essere terapeuta? Secondo le parole di Antonelli: ‘freudiani e junghiani hanno rivisitato sub specie mythologica la psicopatologia. A me sembra che sub specie mythologica possano essere individuati gli stili analitici. Il segno di Artemide connota l’analisi che guarda alla rinascita, quello di Dioniso alla scoperta…Se artemideo può essere considerato Rank, dionisiaco è stato certamente Ferenczi’ (p. 75). Freud, apollineo.

Dunque ogni grande autore si muoverebbe segnato dall’influenza di una divinità, nel senso che anche Hillman ha fornito a questa connotazione psichica. Ma in che modo, allora, Artemide è il deus absconditus di Rank? E soprattutto che utilità apporta questa operazione ermeneutica? Chi è Artemide, oggi?

Artemide è colei che riunisce in sé il forte senso dei confini e la capacità di procurare nascite. Come l’odierno terapeuta. Antonelli spiega il significato di Artemide con diffusione nei primi tre capitoli. In apertura di testo l’autore riporta la sua traduzione di un inno alla dea da parte del poeta Anacreonte; a chiusura del libro pone la traduzione di un inno omerico ad Artemide. In quei primi tre capitoli Antonelli rilegge le principali qualità di genitrice della dea in riferimento a Rank e si dedica inoltre ad un gioco di etimi, ricco e talora vertiginoso. Che forse avremmo preferito più sobrio. In particolare l’autore parte dalla radice indoeuropea ‘ar’ presente nella parola Artemide per giungere -attraverso un associazionismo solo apparentemente casuale- ai più inaspettati approdi. Alcuni dei quali in verità di alto valore clinico e fortemente evocativi. Direi quasi poeticamente ispirati. Mi riferisco ad esempio alla descrizione della dimensione selvatica di Artemide Linnaia, la dea della palude, e la confidenza con la fangosità, che caratterizza la permanenza nel temenos clinico. ‘E’ nel fango’ –scrive Antonelli- ‘che terapeuta e paziente possono procedere nel loro percorso e declinare le loro destinazioni. Fare analisi è fare attraverso il fango, attraversare il fango con il fango, trovarsi e trovare nello sterco (p.49)’. In consonanza -specifica- con quanto recita la massima alchemica: in stercore invenitur.

Per riepilogare, il segno distintivo di Artemide è l’arte della separazione a distanza. ’Ho imparato’ -dice Rank- ’che la capacità di separarsi è una delle maggiori funzioni della vita’. ‘Capacità artemidea’ –specifica Antonelli- ‘quante altre mai, capacità di lasciar essere l’altro, capacità di favorire la generazione, la creazione dell’altro e propria, capacità d’odio che s’invera in quella pratica, tutta rankiana, di stabilire anzitempo il termine dell’analisi, capacità di leggerezza. Capacità che spetta di diritto a chi, come Rank, si è saputo separare dai suoi due padri, quello biologico e quello analitico, quello che lo aveva generato e quello che lo aveva eletto come figlio’ (p. 156)

Il terzo tema è una diretta conseguenza dei due precedenti. Riguarda il Rank definito da Antonelli ‘post-psicoanalitico’ e in particolare il rapporto verità/realtà. Un tema sul quale Antonelli vede confrontarsi le personalità e le teorie di Ferenczi –di cui Giorgio è da anni profondo studioso- e di Rank, prima amici e poi avversari. Alla fine estranei fino al punto che Antonelli si chiede –e ne fa il titolo di un intero capitolo– ‘Perché Ferenczi, incontrando per caso Rank a New York, rifiutò di parlargli?’.

Rank difende la psicoterapia come costruzione di realtà, Ferenczi come il disvelamento di verità. ‘Il demone di Ferenczi sulla scia del padre Freud, è la verità. Il demone di Rank è sempre di più l’invivibilità della verità e il farsi strada, il leggero imporsi della leggerezza’ (p. 120)

E’ nella contrapposizione fra verità e realtà –a nostro giudizio- uno degli elementi di maggiore interesse clinico e teorico di questo lavoro.

La tesi fondamentale è che il Rank post-psicoanalista sia uno dei precursori del costruttivismo. Rank con talento –dice in estrema sintesi Antonelli- inaugura una sensibilità e un modus operandi della psicoterapia che permea fin nelle radici la nostra attuale cultura clinica. Che è di natura polifonica, fatta di continue rinascite, artemidea appunto. La psicoterapia come rinascita, presuppone l’apertura ad una vita rinarrata non disvelata. Rimodellata secondo i principi di utilità, benessere e verosimiglianza. Donald Spence negli anni ’80 ha espresso il medesimo concetto contrapponendo la verità storica alla verità narrativa. Oggi il cosiddetto approccio narratologico e quello cognitivo-costruttivista ne sono gli eredi.

L’evoluzione dei testi di un autore rivela la storia dell’autore. La regola è valida per Rank, ma anche per Antonelli. Il quale –a nostro giudizio- con ‘Al di là della psicoanalisi’ raggiunge il vertice della sua capacità di storico e di studioso della materia. E anche il vertice della sua abilità di scrittore, non sempre divulgativo. In questo saggio Antonelli riesce a smussare –e qui entro nella parte critica- alcune difficoltà di approccio che probabilmente i suoi precedenti scritti hanno manifestato per la straordinaria abbondanza di materiale, di riflessioni e di rimandi. Oltre che a motivo di uno stile personalissimo, colto, elaborato, talora astratto, al quale ci si abitua con lentezza. La passione espositiva del testo su Otto Rank è la conferma della piena maturità di pensiero di Antonelli e soprattutto -questa è la novità- di un desiderio di riconquista della leggerezza che accomuna perfettamente i due autori.

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Antonio Dorella