Adler, Simenon e i sogni del commissario Maigret

Adler ha incontrato un certo favore in quell’onirocritico molto sui generis che risponde al nome di Simenon. Nella saga maigrettiana Simenon usa le concezioni di Adler come plurima chiave di volta interpretativa, sia per quanto riguarda il modo di condurre le proprie inchieste da parte del commissario Maigret, sia per quanto riguarda la complessualità di quest’ultimo. Come direbbe Jung, l’inferiorità è il modo attraverso cui gli uomini incontrano gli uomini. Questo vale per Maigret e vale per i sogni. I sogni c’incontrano là dove siamo meno forti, là dove, insomma, abbiamo veramente bisogno di essere incontrati. I sogni sono inferi, dunque, anche per questo motivo, perché l’incontro è funzionale alla nostra inferiorità, al nostro andare a occupare una geografia diversa da quella, diciamo così, arrogante dell’ideale dell’Io.

Adler è senza dubbio uno dei teorici della psicologia del profondo che attraggono di più Maigret. La teoria secondo cui il punto di partenza della nevrosi rinverrebbe la sua radice in un sentimento di inferiorità è qualcosa che Maigret tiene particolarmente presente nel corso delle sue inchieste. Tale inferiorità esige delle compensazioni, ovviamente. Ed è soprattutto questo l’aspetto che Maigret prende in considerazione. Così come il concetto, adleriano, che vuole il malato o, se si vuole, il colpevole, identificarsi con una struttura ideale fittizia. Molte delle inchieste condotte da Maigret possono agevolmente essere rilette alla luce della psicodinamica adleriana. A ciò non può non aggiungersi il fatto che Maigret è consapevole del proprio complesso d’inferiorità.

Nel corpus maigrettiano, la presenza di Adler non è però palpabile soltanto nelle modalità operative di Maigret, ma anche nella qualità e ricorrenza dei suoi sogni. Il complesso d’inferiorità di Maigret si manifesta per lo più come sensazione di sentirsi fuori posto. Tale sensazione si lega in particolare agli occasionali contatti col bel mondo degli aristocratici e dei politici e rimonta alla sua infanzia. Spie del complesso d’inferiorità di Maigret sono disseminate lungo tutto l’arco delle sue inchieste, in singoli atteggiamenti (come ad esempio il provare irritazione nel deludere l’altro) e, in particolare, nei sogni. In molti di essi, in effetti, Maigret sostiene una parte umiliante. Gli capita ad esempio durante l’inchiesta sui vieillards, gli aristocratici nei cui ambienti Maigret si è sempre sentito a disagio in virtù della loro capacità naturale di amplificarne il sentimento di inferiorità.

Nel sogno in questione, senza sapere chiaramente perché, Maigret si reca in un convento o in un ministero. È consapevole che la posta in gioco è di capitale importanza. Ha l’impressione che Pardon, suo medico personale e amico, per quanto non appaia nel sogno, lo abbia avvertito a riguardo. Di fatto non c’è nessuno che lo guidi. I vecchi lo guardano sorridendo e scuotendo la testa. Uno di loro sembra burlarsi del commissario. Altri lo guardano con indulgenza. Maigret si trova nella posizione di una recluta o di un nuovo alunno in una scuola. Subisce più di uno scherzo. I suoi tentativi di aprire delle porte falliscono. Quando si aprono, invece di dare su camere o salotti, come Maigret si aspetta, introducono a interminabili corridoi. Unica disposta ad aiutarlo è la contessa di Saint-Fiacre, preso la quale il padre aveva lavorato quando Maigret era un bambino e che da bambino Maigret aveva ampiamente mitizzato. È lei che mostra a Maigret il motivo per cui gli altri si fanno beffe di lui. Gli indica le ginocchia e Maigret si rende conto di essere in calzoncini corti. Nel sogno Maigret si presenta come candidato per essere ammesso al clan degli anziani ma, a causa della sua giovane età, non viene preso in considerazione.

In un’altra occasione Maigret sogna che Lognon, commissario rivale, con un sorriso sarcastico e con aria sicura di sé, attende l’occasione per dargli scacco matto. Maigret dispone regina, re, alfieri e cavalli, ma non sa dove ha messo le torri. La partita è determinante per il Quai des Orfèvres, sede parigina della polizia giudiziaria, e il capo lo sta osservando, con grande angoscia del sognatore. Nella circostanza non c’è nessuno che lo aiuti. Lognon, dal canto suo, accetta anche che si suggeriscano le mosse a Maigret, purché non si bari. La possibile vittoria dipende dal trovare la regina, pezzo che sembra essere smarrito.

Lognon incarna una sorta di doppio di Maigret, la sua ombra. Lo scacco matto inerisce a una tipologia funzionale improntata a razionalità. Lognon è l’ispettore coscienzioso, razionale, che conduce le sue inchieste con metodo e logica. Usa molto il pensiero, è poco provvisto d’intuizione. Un esempio della disparità funzionale dei due e della sua incidenza sul loro modo di portare avanti un’inchiesta appare con chiarezza nell’episodio della ragazza morta. Il pensiero logico porta Lognon lontano dalla verità. Nel sogno, potremmo dire, sembra proprio che Maigret viva la sua tipologia funzionale come inferiore a quella di Lognon. Vive insomma, come inferiore alla razionalità del collega, la propria irrazionalità, cioè la propria sensazione introversa sulla quale s’innesta, a seguito del famigerato scatto interno, un picco d’intuizione, la verticalità dell’intuizione, quello che, sulla scia platonica e neoplatonica, si potrebbe chiamare “toccare la verità”. Nel sogno accade che la razionalità dia scacco matto all’irrazionalità ovvero, meglio, stia per darle scacco matto.

Un aspetto interessante di tutta la costruzione di Simenon (costruire un sogno è così diverso dal sognarlo?) risiede nella discordanza esistente tra la puntualità dei sogni di Maigret, il fatto che essi ne sappiano individuare i nodi complessuali, e l’atteggiamento di Maigret nei confronti dei propri sogni, alcuni dei quali egli trova francamente stupidi, in ciò non coadiuvato al meglio dalla moglie, la quale, ad esempio, attribuisce il sogno degli aristocratici al fatto che la sera prima il marito aveva mangiato delle lumache. Detto altrimenti: proprio là dove il sognatore assume un atteggiamento di superiorità nei confronti dei propri sogni, questi lo colpiscono alle spalle, lo colpiscono dove non può essere superiore. Si comprende bene perché Maigret si desti da alcuni sogni con una sensazione di spiacevolezza, sensazione in genere legata al senso di colpa, d’inadeguatezza, d’inferiorità.

In un altro di questi sogni spiacevoli Maigret cerca di spiegare a una persona molto scontenta di lui che non era colpa sua, che dovevano avere pazienza con lui, solo qualche altro giorno, perché era fuori allenamento e si sentiva stanco e a disagio. Dovevano concedergli fiducia e tutto si sarebbe risolto in breve tempo. Soprattutto non dovevano guardarlo con biasimo e ironia. Si comprende anche perché, in una diversa circostanza, Maigret abbia sognato di alzarsi per aria con la forza delle mani. Un sogno che presumibilmente compensa la sua inferiorità, il fatto di essere costretto a terra, e che si lascia bene inquadrare lungo le direttive onirocritiche adleriane. Un sogno che, nella chiave interpretativa offertaci da Lieh-Tzu e che non dista poi tanto dalla prospettiva indicata da Adler, avrebbe a che vedere con l’orrore del vuoto.

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Giorgio Antonelli