Volume 15, ottobre 2012
Editoriale
Invito i Lettori di questo numero a concentrarsi su una preziosa facoltà assai frequentata e amata da James Hillman, l’immaginazione. Seguitemi, per favore, su un veicolo magico che ci teletrasporti tutti nella stanza di Amore e Psiche di Castel Sant’Angelo in Roma, fatta affrescare da Papa Paolo III Farnese, intorno alla metà del 1500 da Perin del Vaga e i suoi allievi. Come sa chi conosce questa magica camera, per accedervi bisogna passare prima attraverso la Sala di Perseo, e ancora prima per la vasta Sala Paolina, dove, lo stesso pittore e la sua scuola, hanno dipinto episodi della vita di Alessandro Magno e storie mitologiche. Immagino che Hillman, nelle sue frequenti visite in Italia, sia giunto anche qui, estasiandosi alla vista di questi luoghi. Magari in compagnia dei consueti amabili ospiti italiani Bianca Garufi (che ha anche tradotto Il sogno e il mondo infero) e Pierre Denivelle, grandi suoi amici e a loro volta intimi di Aldo Carotenuto e di alcuni di noi del Centro Studi, compreso chi scrive. Farei dunque ascoltare in queste stanze le voci che compongono il nostro convegno psicoletterario, i cui atti sono già in questo momento tra le vostre mani. Anzi vi pregherei di immaginare che noi siamo proprio lì con voi, per questa immersione nell’universo hillmaniano.
Quando un filosofo, una scrittrice, uno psicologo, una giornalista, uno scienziato, un filantropo o una santa giungono al termine della loro avventura terrena, se non si spengono le luci sul loro operato, significa che le loro orme continuano ad illuminare il presente di chi è ancora vivo, ed il futuro di chi è molto giovane. Non è forse Shakespeare nostro contemporaneo, così come lo è Platone? E non sono nostri perenni amici Seneca, nonché Ennio Flaiano (che giocava sul fatto che una volta un letterato americano non poteva credere che fosse lui in persona, quando glielo presentarono, con quel nome così latino che credeva appartenesse ad un poeta dell’era precristiana)? Non sono forse nostri vicini di casa e di pensiero Einstein e Pauli, così empatici con Freud l’uno e con Jung l’altro? Così è per James Hillman, che ha concluso, circa un anno fa, ultraottantenne, la sua esperienza terrestre, ma continua ad alitare nei nostri sospiri psicoanalitici ed a pulsare nel nostro cuore. Ancora continuiamo a sentire vivi e presenti T. S. Eliot e Sartre, Keats e Stendhal, Auden e Goethe, Mozart e Puccini, Copernico e Galileo, Pascal e Kavafis, Michelangelo e Andy Warhol, e Charlie Chaplin, che regna ancora sul firmamento del Cinema brillando come il sole, nonostante il suo ultimo film risalga a quarantacinque anni fa.
Oggi non sappiamo se il mondo tra cent’anni andrà ancora peggio, nonostante o per colpa della psicoterapia. Ma, a proposito di ciò, ascolterete il parere di Alessandro Uselli, che, novello Dumas padre, discetta su “Vent’anni dopo” i Cent’anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio di Hillman e Ventura, con una risposta che viene cercata nella capacità della psicologia del profondo di promuovere una dialettica integrativa tra le sorti del paziente e dell’analista, e del mondo interno ed esterno che li accoglie.
Siamo certi invece che la scoperta del Codice dell’Anima (un po’ come la scoperta del codice genetico da parte di Watson e Crick) e molti altri libri dello psico-filosofo americano – ma molto mediterraneo – hanno inciso sul nostro modo di essere umani e psicoterapeuti. Lo testimoniano in questo coro monotematico, ma garantisco non monoteistico né monotono, gli autori che hanno espresso il loro sapere e i loro sentimenti sull’opera di James Hillman. Recita un vecchio adagio che non si deve considerare felice un uomo finché non è morto. Per le vite felici il tempo della morte è molto breve, come sostiene Ruskin, ma soprattutto il tempo della vita può diventare, per alcuni eletti, un tempo assai lungo, vicino all’immortalità, del loro pensiero e delle loro azioni. Molte idee scompariranno, ma constatiamo, dopo alcune migliaia di anni, che la concisione e la strategia di Cesare perdurano anche solo in tre parole: Veni, Vidi, Vici, oltre che nelle sue gesta. Orazio Flacco e Virgilio continuano ad affascinarci, e Dante, Petrarca, Copernico e Galileo permangono dei fari nella notte del cammino umano.
Per i neofiti dell’opera e del pensiero hillmaniano, nella stanza di Perseo sono a vostra disposizione Roberto Cantatrione, con la sua delicata introduzione dal titolo Hillman da conoscere, che ha un chiaro intento divulgativo, e prende in considerazione i libri L’anima del mondo e il pensiero del cuore, II codice dell’anima, e La forza del carattere. A proposito di quest’ultimo libro, è accanto al dottor Cantatrione il medico Federica Sganga, giovane specializzanda in Geriatria, che propugna addirittura l’introduzione dello studio del libro nelle facoltà di Medicina, e soprattutto nelle branche che si occupano della terza età, dopo aver riscontrato personalmente un effetto didattico e terapeutico dalla lettura dello stesso. Insieme ai primi due oratori, consiglio di ascoltare la divertente e sapiente rivisitazione del saggio La giustizia di Afrodite, ad opera della psicologa Marina Malizia, che intitola la sua dissertazione provocatoriamente La suocera, un appellativo davvero singolare per la dea della Bellezza. Proporrei a questo punto, sempre in chiave introduttiva, la mia Hillmania, che si propone di allargare il codice dell’anima hillmaniano a due artisti come Patti Smith e Chet Baker, ed in cui inserisco anche un ricordo della mia intervista ad Hillman nel 1995, e perfino una memoria confidatami dall’insigne psicoanalista Luigi Aurigemma, relativa al periodo in cui il giovane Hillman si innamorò di una studentessa allo Jung Institut di Zurigo, suscitando una tempesta istituzionale. Si discorre nella sala Paolina, in dettaglio, della ricerca hillmaniana con Riccardo Zerbetto, che nel suo lavoro Per una mitopsicopoietica, spiega come Hillman abbia operato nella galassia dei rispecchiamenti archetipici, per dare valore, senso e significato alla vita umana. Raffinatissima ci appare l’ipotesi di Giorgio Antonelli, che apre un dialogo con due personaggi forse davvero esistenti (ma che potremmo essere noi stessi che lo interroghiamo), per spiegare quanto e come Hillman abbia detto della sua Ars analytica senza etichettarla, con la complicità di Hermes, il dio che presiede all’analisi, quello che guida le anime, invia i sogni, e presiede alla parola analitica ed al silenzio tra i due interlocutori, con un invito per gli psicoanalisti a indossare i calzari alati di Mercurio. Ancora sulla dimensione archetipica si cimenta Ferdinando Testa, con Il sogno di Dioniso, il cui mito può spingerci a guardare gli eventi psicopatologici attraverso un nuovo osservatorio, restituendo pregnanza scientifica ed empirica alla concezione del luminoso, spesso presente in gravi patologie. Si ritorna al futuro dell’anima – entità alla quale Hillman ha dedicato un intero libro – con Luisa de Paula, che ci spiega l’utilizzo, da parte del filosofo, dei linguaggi neoplatonico e romantico applicati alla modernità, esprimendo la propria vocazione ad uscire dal setting per ritrovare il suo spazio nel mondo, fedele alla poetica dell’immaginazione. Con un discorso che ricorda le Vite parallele di Plutarco, Antonio Dorella disegna i ritratti psicobiografici di Hillman e Mario Trevi, definiti dall’autore “nomadi dello junghismo”, interrogandosi su quel che resta dello stesso. Si tratta di una coppia di opposti, una sizigia che condivide un solo territorio, quello di una Psiche ignota e creativa, mai del tutto risolvibile. Giuseppe D’Acunto si interessa di Hillman lettore di Vico nel suo Anima naturaliter vichiana, sottolineando quanto il filosofo napoletano sia un vero precursore della psicologia archetipica. Alle prese con Pan e la cattura dell’attimo è Amato Luciano Fargnoli, che ci dispiega un nodo centrale dell’esperienza umana: il manifestarsi di ciò che è improvviso, imprevisto, imprevedibile, alla luce del Saggio su Pan, una divinità che lo psicologo americano ha sempre tenuto in grande considerazione. Con Viaggio intorno al blu, Maria Fiorentino ci trasporta nell’azzurro del cielo, e nell’alchimia del colore blu, sul quale Hillman ha scritto due testi di rara bellezza, che vengono da lei presi in esame, per stabilire una relazione tra la visione luminosa di questo colore, ed il concetto greco del tempo debito o tempo di Dio. Fuochi blu si intitola anche una antologia hillmaniana a cura di Thomas Moore, autorizzata ed apprezzata da James Hillman, che rappresenta una validissima introduzione al suo pensiero. Credo che poco resti ancora da dire per voi e noi che restiamo, con la forza dell’immaginazione, tutto il tempo che vogliamo qui, in quello che fu inizialmente il Mausoleo di Adriano, girovaghi, vagabondi, curiosi, coraggiosi, erranti ed ammaliati, a volte ammalati di Amore e Psiche, nella cui stanza, ricordate, siamo finiti all’inizio di queste pagine. Per donare sacralità e gratitudine a questo incontro coagulatosi alchemicamente nelle pagine che seguono, riporterò – a memoria – un piccolo, a mio avviso perfetto, concetto espresso nell’ultimo delizioso film di Martin Scorsese, Hugo Cabret, che Hillman non ha fatto in tempo a vedere, ma che avrebbe sicuramente apprezzato. In questa pellicola, il giovane protagonista si occupa di orologi e ne conosce tutti i meccanismi. Quando una amabile fanciulla gli chiede la sua opinione a proposito del senso della vita, Hugo risponde che negli orologi non può esserci un pezzo in più, perché inutile, e neanche un pezzo in meno, altrimenti l’orologio non funzionerebbe. Dunque le dice: se io sono al mondo, il che vuol dire che faccio parte del meccanismo dell’orologio dell’universo, allora devo rendermi conto che sono necessario e devo solo capire qual è il mio ruolo!
Imparare ad entrare nel mondo immaginale, così come ho invitato Voi Lettori a fare, prima di accingervi ad incontrare i temi di questo volume, è in fondo la base della creazione artistica, e spesso anche di quella scientifica. Chez moi l’imagination est tout scrive Raymond Roussel, strabiliante scrittore, che, dopo aver fatto il giro del mondo nell’arco di un paio d’anni, confessava che da tutti quei viaggi non aveva cavato niente per i suoi libri. E John Ashbery, suo critico ed estimatore, ha commentato che la virtù di Roussel nel non utilizzare la propria esperienza e nel ricorrere invece alla propria immaginazione, consisteva nella possibilità di purificare o soppiantare l’esistente e imperfetto ordine delle cose … l’immaginazione di per sé non ha meriti… ma è anche il veicolo per fuggire il mondo insoddisfacente nel quale viviamo, creando qualcosa che sembra non avere rapporto con esso.
Psicologia e Letteratura continuano a convivere e a nutrirsi l’una dell’altra, esprimendosi al meglio attraverso l’immaginazione. Imparare ad immaginare, esercitare le proprie capacità ideative, significa anche cercare di capire il nostro ruolo nella vita, donandole valore, forza e futuro. Questa, mi sembra che sia l’eredità più autentica e concreta che lo psicologo-filosofo-scrittore James Hillman ci ha lasciato.
Amedeo Caruso
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