La strategia di Peter Pan

La strategia di Peter PanAldo Carotenuto, Milano, Bompiani, 1995

Il fulcro di questo libro è rappresentato dall’universo infantile e in particolare dalla necessità di ricuperare il contatto con le componenti eternamente giovanili della psiche. Contro il tentativo della cultura razionalistica di ridurre la forza e la spontaneità della psiche “infantile” a mere suggestioni fantastiche e a strategie di fuga dalla realtà, l’autore ravvisa nella qualità dell’ “eterno fanciullo” i germi della creatività individuale, delle energie migliori dell’individuo. Utilizzando un celeberrimo personaggio della fantasia, Peter Pan, l’autore critica la più ricorrente interpretazione psicologica che ne fa il simbolo della fissazione nevrotica all’età adolescenziale, l’emblema di colui che si rifiuta di crescere. All’opposto, esso incarna “il difensore di valori e atteggiamenti che solo nell’infanzia sembrano poter essere accettati e pienamente vissuti”, il portavoce di un malessere dell’anima occidentale che i più giovani avvertono con maggior sensibilità. Il mantenimento dei tratti infantili e il riconoscimento della straordinaria capacità del bambino di identificarsi con la realtà vivente partecipando affettivamente ad essa, rappresentano per l’autore un compito che l’adulto deve assumersi per salvare il suo poenziale creativo. Proponendo così l’idea di preservare il più a lungo possibile i tratti infantili della nostra personalità, Carotenuto ci esorta a riflettere sui vantaggi che una simile “strategia” può portare nella nostra vita.

Estratto

Le nostre riflessioni sulla creatività infantile, sullo sviluppo del pensiero divergente, sul gioco, sulla fantasia, sull’immaginazione, intendono spezzare una lancia a favore di quelle teorie che spiegano lo sviluppo infantile come sviluppo di potenzialità già presenti, in nuce, nel neonato. Gli studi più recenti sul percorso evolutivo nell’infanzia tendono a far retrocedere sempre di più la data della presunta nascita di un sé nucleare, di una struttura psichica che, seppure ancora abbozzata e tendente alla progressione evolutiva e alla stabilizzazione, è già sufficientemente formata da poterle dare il nome di sé. Il sé nucleare riguarderebbe il corpo in quanto unità psicofisica con un preciso schema sensomotorio e specifiche risposte affettive sia a stimoli esterni che interni, un sé già dotato di una sua stabilità. David Stern, sulla base di molteplici dati clinici ed empirici evidenzia come già tra i due e i sei mesi il bambino si percepisca come l’autore delle proprie azioni e non di quelle altrui; si percepisca come una unità fisica provvista di confini e dotata di coesione; faccia esperienza di un se affettivo, cioè sperimenti stati interiori con qualità affettive; abbia, inoltre, il senso della durata e della continuità (quello che egli definisce “sé storico”). Grazie a queste ricerche, l’immagine del bambino come portatore di una individualità che, seppure ancora in nuce, è dotata di caratteri e di tratti che rendono specifiche le sue risposte all’ambiente, emerge con chiarezza. Siamo esseri unici, e solo coltivando la nostra differenza potremo realizzare le potenzialità della nostra umana natura.

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L'autore
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Aldo Carotenuto
Aldo Carotenuto (1933-2005) Ha insegnato Psicologia della Personalità e delle Differenze Individuali all'Università di Roma