Il testo presenta la storia di un caso clinico, caratterizzato da angoscia di svuotamento e perdita di significato. Questa volta si tratta di un uomo, un pittore di riconosciuto successo, chiamato Arione nella storia analitica. Egli venne spinto in analisi da una percezione di falsità della propria opera che giunge a paralizzare le sue capacità creative. Carotenuto utilizza una metodologia fenomenologico-esistenziale nell’ambito di un riferimento concettuale alle tesi di Jung e alle successive elaborazioni di Neumann. L’accostamento al paziente si rivela come ‘osservazione partecipe’ nella misura in cui l’evoluzione del rapporto analitico mette a nudo alcune componenti della personalità dell’analista. I contenuti della storia clinica vertono fondamentalmente sull’analisi dei sogni, nei termini di una loro presentazione, del contesto psicologico in cui giungono, della loro calibrata interpretazione effettuata con l’ausilio di amplificazioni storico-culturali e di indagine dei miti. Il contenuto del testo va oltre il distillato di una integrazione delle funzioni dell’lo del paziente, per stabilire una serie di argomentazioni sulle componenti psicologiche profonde che costituiscono il supporto di tutto il discorso sulla creatività.
Estratto
L’uomo di cui narro la storia è un pittore affermato che per sei anni ha diviso con me alcuni momenti della sua vita. Ora che il ricordo è lontano, ora che le immagini tumultuose delle sue pene fanno da sfondo a tante altre esperienze che costellano il mio lavoro, più netto si offre alla mia coscienza il percorso di una vita interiore e il divario fra l’esistere e l’essere. Forse ogni paziente, se si vuole affondare lo sguardo nel profondo del patimento nevrotico, si trova nella condizione di dover negare se stesso per poter vivere. Giovenale recitava questa condizione con il verso “Et, propter vitam, vivendi perdere causas”. La fama perseguitava quest’uomo ma, come stranamente accade, questo successo era completamente separato dalla sensazione che egli aveva di sé. Da molto tempo lo assillava il dubbio di mentire, di non essere cioè all’altezza della situazione. La gloria e l’affermazione artistica gli sembravano un’escrescenza estranea alla sua realtà interiore, e l’unico modo per far fronte a questo disagio fu l’inattività completa. Naturalmente avrebbe voluto continuare a dipingere, ma il blocco era stato totale: un addio triste alla creatività, un desiderio di morte, il confronto tragico e penoso con il proprio fallimento. Si tratta di una modalità abbastanza comune che può investire la persona, soprattutto in certi momenti fondamentali dell’esistenza. Forse si potrebbe definire anche paura, ma si tratta di uno speciale tipo di paura, senza contorni ben definiti, dotata di connotati quasi misteriosi, paralizzanti in parte e in parte propulsori. È una paura che ha a che fare con il mondo e con il nostro essere di fronte a esso. Ma il mondo è infinito e da esso non riceviamo alcuna risposta.