Wilhelm Reich – le parole, le emozioni

Adattato da Giorgio Antonelli, Al di là della psicoanalisi. Otto Rank, Lithos, Roma, 2008

Rank mette in dubbio la validità, l’efficacia terapeutica del rendere conscio l’inconscio, operazione che appare essere una sostituzione di razionalizzazioni e che può rischiare di scadere in un duello di volontà tra paziente e analista. Su questo punto anche Reich si era espresso in modo più categorico quando affermava che la dinamica della guarigione non può in alcun caso derivare dalla trasformazione di una rappresentazione dall’inconscio al conscio (il cosiddetto punto di vista topico). Reich riteneva inoltre inadeguato anche il punto di vista dinamico, sostenuto da Rank e Ferenczi in Prospettive di sviluppo della psicoanalisi, perché l’abreazione di affetti collegati a ricordi provocherebbe miglioramenti soltanto provvisori. Nell’ottica abbracciata da Reich rimarrebbe soltanto il punto di vista economico e cioè dell’economia della libido (Reich 1933, 35 sgg).

In modi che possono agganciarsi sia a Rank sia a Grof, Reich riteneva che il linguaggio delle parole non fosse in grado di spiegare nulla e disdegnava le terapie verbali, interpretanti. Del setting psicoanalitico conservava la posizione sdraiata del paziente. Nella prospettiva psicoanalitica tale posizione è in grado di indurre quella regressione e, anche, ferenczianamente, quel rilassamento, quella neocatarsi capaci di catalizzare il recupero di ricordi rimossi. Nel pensiero di Reich ciò era dovuto al fatto che la stessa posizione facilitava il flusso, lo scorrere delle emozioni. Negli anni trenta, comunque, il punto di partenza della terapia di Reich era diventato decisamente la respirazione. Al paziente Reich chiedeva di sdraiarsi e di respirare. Ne sa qualcosa Lowen il quale, nel corso della prima seduta con Reich, si sentì apostrofare dal suo terapeuta in questi termini: “Lowen, tu non sai respirare”. Si tratta qui, come si può capire, di un evidente precorrimento delle tecniche olotropiche basate sulla respirazione successivamente sviluppate da Grof in ambito transpersonale.

In un certo senso potremmo rilevare, nella cultura mitteleuropea (Rank e Reich nati in Austria, Ferenczi in Ungheria e Grof nell’allora Cecoslovacchia), i germi europei di quella che sarebbe divenuta, in anni e presso generazioni di terapeuti successivi, la psicologia transpersonale. Occorreva in altri termini che tali germi potessero attecchire nel luogo deputato al loro sviluppo, gli Stati Uniti. Non casualmente, dunque, Rank, Reich e Grof hanno a un certo punto della loro esistenza di ricercatori e terapeuti preso la seminale decisione di trasferirsi in quel paese. Né, per altri versi, è casuale che Ferenczi, a suo modo il più transpersonale dei pionieri della psicoanalisi, non ci sia riuscito.

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Giorgio Antonelli