Adattato da: Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1996
Due anni dopo la pubblicazione del libro di Izette de Forest Ernest Jones redige una breve recensione del testo sull’International Journal of Psychoanalysis. Nell’occasione il biografo ufficiale di Freud ritorna sulla questione dei rapporti Ferenczi-Freud. L’occasione gli è fornita dalla presenza di quella che giudica essere una nota di forte risentimento, da parte dell’autrice, relativamente al trattamento riservato da Freud a Ferenczi. Da una parte sarebbero all’opera le aspre critiche, l’ostilità e persino l’inimicizia di Freud, dall’altra campeggerebbero la pazienza cristiana e la devozione di Ferenczi che avrebbero salvato l’antica amicizia da una definitiva rottura. Questa, tra le altre, la tesi di Izette de Forest. La verità, però, commenta Jones, è ben diversa. Per Jones è Ferenczi a ritirarsi nel suo isolamento, a smettere di scrivere lettere ed è Freud a soffrire per l’atteggiamento dell’amico. Quanto al libro esso viene giudicato una sorta di ditirambo, peana religioso o vangelo sull’importanza dell’amore nel mondo e un segno della gratitudine della ex-paziente di Ferenczi nei confronti dell’analista di un tempo. E dietro all’evidente critica all’autrice non si può non leggere il disaccordo di Jones sulla tecnica dell’indulgenza di Ferenczi. “In quegli anni” scrive Jones “Ferenczi si spinse molto lontano.” Freud, dal canto suo, scrive Jones, non si spinse lontano quanto Ferenczi sul sentiero dell’indulgenza analitica. E anzi rimproverò l’amico per questo. Il che però è ben altra cosa rispetto a quell’atteggiamento di ostilità denunciato dall’autrice, la quale viene anche rimproverata di ignorare il contesto entro il quale la vicenda dei due grandi maestri della psicoanalisi ha avuto il suo corso.
Il testo di Izette de Forest, che verrà ripubblicato trent’anni dopo, nel 1984, a New York, assomiglia, e qui non si può non convenire con Jones, a un inno all’amore. L’amore vi diventa una sorta di chiave di spiegazione universale. Qual è l’elemento curativo in analisi? L’amore. Perché Ferenczi, a differenza di quanto fecero Adler, Jung e Rank, non abbandonò il cerchio di discepoli raccolti intorno a Freud? Per amore. Izette de Forest non esita poi a citare l’articolo che Eleanor Burnet ha scritto due anni prima sulla propria analisi con Ferenczi. Perché? Perché nel descrivere quello che Izette de Forest chiama il “genio psicoterapeutico” di Ferenczi la Burnet impiega la fatidica espressione “redenzione per amore”. E via di seguito.
Una forte nota di ingenuità è quella che colora l’affermazione di Izette de Forest sul matrimonio di Ferenczi, un matrimonio che l’autrice definisce benedetto dalla felicità. Il che, come sappiamo, è ben lungi dall’essere vero. Certo nell’affermazione di Izette de Forest è all’opera una forte idealizzazione del suo analista di un tempo. E non sembra ammissibile che, data l’idealizzazione, il matrimonio di Ferenczi possa essere stato, anche soltanto a tratti, infelice.
In appendice al testo compare un glossario di termini psicoanalitici. Si tratta di definizioni tratte e adattate per lo più dallo Psychiatric Dictionary di Hinsie e Shatzky, pubblicato a New York l’anno precedente. I termini presi in considerazione sono quelli classici del freudismo. Va segnalato, insomma, che non viene preso in nessuna considerazione il lessico più strettamente ferencziano. Perché? Non certo per amore. O forse proprio per amore, ovvero in ragione del fatto che la chiave dell’amore ha obnubilato le specificità di Ferenczi. Non si può certo concordare col giudizio di Erich Fromm che vede nel libro di Izette de Forest “un’eccellente esposizione delle nuove idee di Ferenczi”.