Tratto da Giorgio Antonelli, Al di là della psicoanalisi. Otto Rank, Lithos, Roma, 2008
Stando a quanto riferito da Fromm, Freud tendeva a dipendere, oltre che dalla madre e dalla moglie, da alcuni uomini. Contemporaneamente si vergognava di questa dipendenza e, di conseguenza, era portato a odiare. I casi di Breuer, Fliess, Jung, Adler, Rank e Ferenczi mostrerebbero la ripetizione di un analogo ciclo: “intensa amicizia per alcuni anni, poi la completa rottura, generalmente portata fino al limite dell’odio” (Fromm, La missione di Sigmund Freud. Analisi della sua personalità e della sua influenza, 1959).
L’ipotesi di Fromm va ulteriormente approfondita e completata. A Fromm sembra mancare la nozione di una certa positività, propositività, creatività dell’odio, la nozione di quello che io chiamo saper odiare. La parola più profonda in merito è stata secondo me pronunciata da Masud Khan, allievo di Winnicott, in un saggio del 1970 dedicato alle amicizie celebri, da quella di Montaigne con La Boétie, passando per Rousseau e Hume, a quella di Freud con Fliess.
Anche Khan ravvisa in queste amicizie la ripetizione di un ciclo analogo ma, a differenza di Fromm, gli conferisce un significato diverso, creativo e, direi, pienamente artemideo. “Siamo giunti a un’epoca” scrive Masud Khan “in cui dobbiamo affrontare la verità che gli esseri umani particolarmente dotati, quando utilizzano l’altro come catalizzatore nella loro autoesperienza, devono assumersi la responsabilità di distruggerlo. Freud lo fece, secondo me, con un coraggio che è incomparabile nella storia delle relazioni umane” (Masud Khan, “Montaigne, Rousseau e Freud”).