(Tratto da Giorgio Antonelli, Discorso sul sogno, Lithos Editrice, Roma, 2010)
Corrispettivi fisiologici di morte, stato intermedio e rinascita, anche secondo una tradizione che prima di essere psicoanalitica, come vedremo, è stata letteraria e, direi, pressoché universale, sono il dormire, il sognare e lo svegliarsi. Nel linguaggio psicoanalitico impiegato da Federn la contiguità dei tre stati è declinata come perdita dell’investimento dell’Io, reinvestimento dell’Io, reinvestimento eccessivo dell’Io. “La perdita dell’investimento dell’Io” scrive Federn “introduce il sonno; il reinvestimento introduce il sogno, ma un reinvestimento eccessivo fa finire rapidamente il sogno e il sonno”. Che cosa sia l’Io Federn lo spiega in occasione di una conferenza tenuta presso la Società psicoanalitica di Vienna il 22 novembre 1933: l’Io è “la continuità psichica del corpo e dell’anima in rapporto allo spazio, al tempo e alla causalità, continuità che è permanente o si riforma sempre di nuovo”.
Che l’Io debba riformarsi sempre di nuovo, secondo quanto sostenuto da Federn, e che questo riformarsi sempre di nuovo lo definisca appunto in quanto Io, mi sembra per molti versi un equivalente psicoanalitico, sub specie di psicologia dell’Io, dell’ipotesi formulata da Jouvet. Federn applica la sua concezione in particolare al risveglio dell’Io dal sogno e, in quest’ottica, aggiunge ai processi tradizionali dell’ontogenesi e della filogenesi il processo da lui denominato ortriogenesi, termine, mediato dal greco, che sta a significare il primo farsi del giorno. Nel processo dell’ortriogenesi, nel quale si produce un reinvestimento egoico eccessivo, l’Io secondo Federn “deve ripetere in tempo brevissimo tutto il processo della sua formazione”.
Mi sembra interessante notare come, in questo discorso di Federn, si ripeta una formulazione doppiamente triadica che può fungere da interessante corrispettivo della triade di Jouvet e delle triadi tradizionali che implicano l’esistenza di un terzo stato variamente nominato. Così come Jouvet parla dei tre stati del sonno, sogno e veglia, e lo fa richiamando concezioni lontane temporalmente e geograficamente, così come nelle Upanishad, che cita, si parla di sonno senza sogni, sonno con sogni e veglia, così come in ambito buddhista si fa questione di un morire, di uno stato intermedio (o bardo) e di un rinascere in quanto relativi al ciclo di ogni giorno (ma vedremo che si tratta non tanto, o non soltanto, di un ciclo circadiano quanto di un ciclo ultradiano, cioè che si ripete più volte al giorno), analogamente Federn parla, l’abbiamo appena visto, di perdita dell’investimento (un corrispettivo della morte, certamente una morte per l’Io), di reinvestimento dell’Io che reintroduce il sogno (in altri termini il sogno sveglia l’Io, lo fa tornare in vita) e di reinvestimento eccessivo (che pone fine al sogno e al sonno) e, ancora, di filogenesi, ontogenesi, ortriogenesi.
L’ortriogenesi costituisce un fenomeno ultradiano nel quale l’Io continuamente si riforma, si ridesta, esce dal terzo stato, la cui alterità rispetto allo stato del sonno tradizionalmente, cioè notturnamente, inteso, non comprende. Ciò che mi sembra interessante nella formulazione di Federn è quel suo volutamente contraddittorio, oppositivo definire l’Io come permanente e come entità che si riforma sempre di nuovo. Concezione quest’ultima che sembra piuttosto echeggiare, a dispetto della continuità e della permanenza, la dottrina buddhista dell’impermanenza.
Federn ha chiamato la naturale assenza mentale di cui parla Erickson Ichlosigkeit, assenza dell’Io. La Ichlosigkeit caratterizza secondo Federn la situazione dell’Io nel sonno. Il sogno equivarrebbe soltanto a un risveglio molto parziale da questo stato di assenza dell’Io. Ogni determinato periodo di tempo entriamo nella nostra assenza, siamo presenti nella nostra assenza. Il sogno attraversa il nostro essere assenti, morti, a noi stessi in modo tale che l’assenza possa essere sperimentata da un Io che si risveglia soltanto molto parzialmente. Se l’analisi, come l’ha concepita Hillman, a partire dal trattamento, dal maneggiamento del sogno, è un eros tra morenti, l’analisi à la Ferenczi diventa una sorta di eros tra dormienti, un ponte tra due trance. Una presenza tra due relative assenze, due assenze dell’Io. Una presenza che si fortifica di questo assentarsi degli Io.