L’inconscio come sistemi infiniti. Saggio sulla bi-logica – Schizzi su Matte Blanco

Adattato da G. Antonelli, Schizzi genealogici psicofilosofici, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, aprile 2008

Qual è la più grande scoperta di Freud?

Per Ignacio Matte Blanco, uno psicoanalista che ambirebbe a essere letto come filosofo, non è l’inconscio la più grande scoperta di Freud. L’inconscio era stato concepito da tempo. La più grande scoperta di Freud ha a che fare con il modo d’essere, con le caratteristiche dell’inconscio, con la sua simmetricità, infinità, bilogicità. La più grande scoperta di Freud è tale da sfuggire allo scopritore. Il setting analitico è il luogo dove questo modo di essere viene praticato nello stesso momento in cui viene analizzato e viceversa. In altri termini: è il setting analitico la più grande scoperta di Freud.
Come funziona l’inconscio?

La questione è ripresa e sistematizzata da Matte Blanco nelle sue ricerche sulla bilogica e sull’inconscio come Infinite Sets (insiemi infiniti). Il punto di Matte Blanco sarà che l’inconscio di Freud funziona sia asimmetricamente (cioè in accordo con la logica aristotelica o, anche, bivalente), sia simmetricamente (cioè in opposizione alla logica aristotelica). Si tratta appunto, nell’inconscio e nell’emozione che aprono all’infinito, di bilogica. Le leggi logiche del pensiero (ad esempio la legge di contraddizione) non si applicano all’inconscio. L’inconscio non conosce il no. L’inconscio, così come l’emozione, infinitizza l’aut-aut in et-et. L’inconscio tratta lo spazio e il tempo in modo altro rispetto all’estetica di Kant. L’inconscio, dice Freud, potrebbe essere anche chiamato Regno dell’Illogico. Matte Blanco ridefinirà l’Illogico di Freud in una logica altra, simmetrica (oltre cha anaclitica, dal momento che si appoggia alla logica asimmetrica).

1900

Da Husserl a Matte Blanco via Heidegger

Prolegomeni a una logica pura, di Husserl. Precedono le Ricerche Logiche, la cui pubblicazione risale al 1900-1901. Foucault nota la coincidenza delle due pubblicazioni, di Freud e di Husserl, e aggiunge che sarebbe utile insistere su di essa, dal momento che si tratta di “un duplice sforzo dell”uomo per rientrare in possesso dei propri significati a partire dall’atto stesso della significazione”. Sta di fatto, comunque, che Freud e Husserl s’ignorano. Buona parte dei Prolegomeni e delle Ricerche Logiche è dedicata a una critica dello psicologismo, alla confutazione delle posizioni rappresentate, tra gli altri, da Stuart Mill (“la logica non è una scienza separata dalla psicologia”, “nella misura in cui la logica è una scienza, essa è una parte o un ramo della psicologia) e Lipps (“la logica è una disciplina particolare della psicologia”). Lo smontaggio dello psicologismo operato da Husserl sarà oggetto (non esclusivo) di un corso di lezioni tenuto da Heidegger nel semestre invernale 1925-26. Nella circostanza Heidegger sosterrà che la carenza fondamentale dello psicologismo sta nell’aver mancato la differenza nell’essere (la diversificazione fondamentale nell’essere dell’ente), nel non aver riconosciuto che la logica è costruita su un fondamento ontologico. Questo rilievo critico, ovviamente, non ha come oggetto il solo psicologismo, ma si estende alla psicologia in quanto tale. Di ciò si rende ovviamente conto Heidegger, il quale non esita ad affermare che “la critica allo psicologismo deve essere critica alla psicologia”. Perché? Perché “nessuno oggi può dire si può dire che cosa sia la psicologia”. Nessuno, presumibilmente, inclusi Husserl e Heidegger. La psicologia non ha ontologia, non poggia, non ha, non fa fondamento. Si sospende nell’aria, a mezz’aria, tra la terra dell’inesistenza intenzionale dell’oggetto (come aveva detto Brentano) e il cielo dell’intenzionalità, tra reale e ideale. La psicologia che non ha ontologia dove poggia? Può sostanziarsi, cioè trovare fondamento nella sola aria, come si direbbe sulla scia presocratica? Questa medietà dello psichico viene ripensata da Heidegger alla luce del concetto di intenzionalità: lo psichico è la relazione tra il reale e l’ideale. La filosofia manca l’aria in cui si tratta di questo divenire, per dirlo à la Jung, ciò che accade nel mezzo? Proprio dopo aver affermato il traslare della critica allo psicologismo in critica alla psicologia Heidegger fa questione della disperazione dei filosofi. Se la contiguità vale un’associazione, allora quella disperazione lambisce un resto mancato dai filosofi, un resto che ha a che vedere con lo psichico, con l’attraversamento della psiche, col fatto che nessuno oggi possa dire che cosa sia la psicologia, col costituirsi di questa, agli occhi del filosofo, quale oggetto bizzarro (così come, dirà Assoun, la filosofia si costituisce quale oggetto bizzarro agli occhi di Freud). Né Husserl né Heidegger prendono per tempo in considerazione la psicoanalisi. La quale provvederà a fornire una risposta alla presa di posizione di Husserl nei confronti dello psicologismo con indubbio ritardo ma con inequivocabile decisione quando nel 1975 Matte Blanco pubblicherà il suo capolavoro “psicofilosofico” L’inconscio come sistemi infiniti. Saggio sulla bi-logica. E ciò rimane vero anche se Husserl si trova citato espressamente soltanto una volta in tutto il ponderoso volume dello psicoanalista cileno. Matte Blanco va, nella circostanza, alla caccia di un luogo husserliano che possa conciliarsi con il proprio impianto teorico. Nel luogo husserliano reperito dallo psicoanalista cileno si tratta della sola cosa che i sostenitori dello psicologismo riuscirebbero a provare e cioè che la psicologia co-partecipa al processo di fondazione della logica. Matte Blanco di rimando sostiene che essendo noi esseri spazio-temporali “siamo incapaci di sviluppare una logica in cui non partecipino in qualche modo i concetti di spazio e di tempo”.

1975

L’infinito

L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bilogica, esordisce nella prefazione l’autore, “è scritto per psicoanalisti e per filosofi matematici”. Non solo si tratta di riferimenti a Kant, James, Russell (autore cui si rifanno anche i “pragmatisti” della comunicazione umana), Whitehead e Wittgenstein, tra gli altri, ma anche, come si trova scritto nella prefazione, ai filosofi eleatici (sono espressamente citati Parmenide e Zenone) e a Sartre (per il suo abbozzo di una teoria delle emozioni). In più di un’occasione, inoltre, Matte Blanco si dice (anche inconsciamente) influenzato da Bergson. Per certi versi il testo costituisce una ripresa delle questioni poste da Husserl nelle Ricerche Logiche (la questione delle relazioni tra logica e psicologia e la critica husserliana dello psicologismo). Dal punto di vista abbracciato dallo psicoanalista cileno gli argomenti impiegati (anche sprezzantemente) contro lo psicologismo “non possono essere utili”. È illusorio (e presuntuoso), sostiene, pretendere che noi non siamo parte del mondo. Motivo per il quale il Dasein di Heidegger costituisce di per sé una confutazione (vivente) dell’epoché di Husserl. Husserl, nel distinguere io psicologico (l’io naturale umano e il vivere psichico) e io trascendentale, fa questione di “io ridotto” che “non è un pezzo del mondo”. Nell’ottica matteblanchiana, comparabile con quella del Dasein (la simmetria del sein attraversa l’asimmetria del Da), non si tratta, non può trattarsi di un io ridotto. Matte Blanco confuta analogamente Cartesio il filosofo che ha incarnato il rifiuto del pensiero occidentale di mettere in relazione lo spazio con lo studio dei fenomeni psichici. “Oh, Cartesio” esclama parafrasando il poeta messicano Nervo “quanto ci hai danneggiato!” (ancora l’antiDescartesrefrain). Matte Blanco ritiene che le nostre concezioni della mente siano interamente permeate dalla comparazione spaziale. Il concetto di spazio, a sua volta, per riprendere la questione a suo tempo affrontata da Husserl, “è inevitabilmente legato ai concetti fondamentali della logica”. E, però, il principio di simmetria e la bi-logica esigono infinite dimensioni. Il sogno, ad esempio, non può essere compreso a partire dalla sola tridimensionalità. Né può esserlo mettendo fuori circuito la sua analogia localis. La metafora (senza la quale sarebbe impossibile per la psicologia scientifica e per la psicoanalisi accedere al linguaggio) è essenzialmente un fenomeno spaziale. La natura ama nascondersi e, però, lo spazio ama la psiche. L’anima, ripetiamo ancora una volta con Senocrate, è un numero, autokìnetos, un numero che si muove da solo. Nel setting analitico, come nella vita, non si tratta d’altro, non si tratta che dell’automovimento di un numero.

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Giorgio Antonelli