Le Memorie di Margaret Mahler
Le Memorie di Margaret Mahler

Adattato da: Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1996

Vengono pubblicate a New York le Memorie (1988) di Margaret Mahler, a cura di Paul Stepansky. Margaret Mahler era l’amica del cuore di Alice Szekely-Kovács (poi moglie di Balint, nonché traduttrice in ungherese di Thalassa), figlia di quella Vilma Kovács che figura tra le analizzande di Ferenczi. Quando Margaret Mahler inizia a frequentare casa Kovács (Margaret Mahler parla di “famiglia psicoanalitica”) ciò avviene dopo la fine dell’analisi di Vilma Kovács, la quale si trova ormai in rapporti di amicizia con Ferenczi.

In occasione di una delle frequenti cene date dai Kovács (alle quali partecipavano, oltre a Ferenczi, anche Balint e Géza Róheim) la Mahler è presentata a Ferenczi. Fu in quel contesto e in particolare, come ricorda l’autrice, quando fu presentata a Ferenczi, che lei si sentì attratta dalla psicoanalisi. Più tardi Ferenczi la spinse a far domanda per un training di formazione presso l’Istituto Psicoanalitico di Vienna.

Fu anche Ferenczi a suggerirle (suggerimento che si sarebbe rivelato per molti versi infelice) di fare l’analisi didattica con Helene Deutsch, la quale, nel corso della prima seduta, disse alla Mahler di averla presa in analisi “al 90 per cento perché Ferenczi l’aveva pregata di farlo” e che concluse l’opera, dopo poco più di un anno, giudicandola “inanalizzabile”. Ferenczi consigliò la Mahler di riprendere il lavoro con un’altra donna (dal momento che, essendo stato il rapporto della Mahler col padre migliore di quello con la madre, era dal confronto col femminile che ci si poteva attendere di raggiungere risultati più profondi). La Mahler disattese il consiglio di Ferenczi e scelse come analista August Aichorn.

Per quanto riguarda il contributo fornito da Ferenczi, Margaret Mahler pone in evidenza due elementi: l’idea dell’unità diadica ‘madre-bambino’ e la comprensione della necessità, per alcuni pazienti, di una regressione profonda ai fini del conseguimento di un effetto terapeutico. Il contributo di Ferenczi è stimato dalla Mahler essenziale “all’evoluzione dell’analisi nei decenni successivi alla morte di Freud”. Al suo tempo Ferenczi era all’avanguardia, perché, scrive la Mahler, diversamente da Freud, “non aveva paura dei pazienti profondamente regrediti”.

Interessante il particolare fornito dalla Mahler su un atteggiamento tecnico di Ferenczi in analisi: Ferenczi avrebbe dato ad alcuni di loro anche il biberon. Alla base di queste cure materne che Ferenczi elargiva ai propri pazienti va secondo la Mahler riconosciuto un dato di fatto e cioè che “prima di poter procedere con il lavoro analitico è necessario riconoscere e superare certi stati precoci di privazione e perdita”.

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Giorgio Antonelli