Lacan contro Ferenczi – Lacan con Ferenczi

Adattato da: Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1997

Lacan contro Ferenczi

Nella seduta seminariale del 24 marzo dedicata alla discussione de L’introduzione al narcisismo di Freud e dello scritto sulla libido di Jung (si tratta del suo primo seminario, quello dedicato agli scritti tecnici di Freud), Lacan critica la teoria stadiale della psicoanalisi classica, ovvero ciò che ha da dire sulle relazioni tra lo sviluppo dell’Io e lo sviluppo della libido. Presi di mira sono in particolare Abraham e Ferenczi. Di Ferenczi è citato l’articolo del 1913 “Fasi evolutive del senso di realtà” (assai citato, come sappiamo, dagli psicoanalisti) che Lacan giudica “assai povero”. “Ferenczi” aggiunge “è colui che ha cominciato a mettere nella testa di tutti i famosi stadi”. Si tratta dei primi tentativi teorici di declinare un discorso sulla costituzione del reale. Ora, tale discorso è impregnato secondo Lacan di mitologia. Come osserverà Jorge Canestri in un suo articolo pubblicato su Il piccolo Hans, intitolato “Trascrizioni e trasformazioni” e relativo alla critica lacaniana, “si può rimproverare a Ferenczi di prendere troppo alla lettera i miti freudiani; di farsi portavoce di una ipotesi su una fase magica, primitiva e prelogica che non ha alcun senso; di promuovere con forza un punto di vista evolutivo che poco rapporto ha con il concetto biologico dell’evoluzione, e ancora meno con l’esperienza analitica; di forzare con la fretta e il bisogno di certezze dell’allievo le ambiguità e le sinuosità del percorso di pensiero del maestro”. Lacan, dal canto suo, osserva nel corso del seminario come Freud stesso dimostri fastidio nel far riferimento all’articolo di Ferenczi.

Vale la pena secondo me di situare brevemente nel contesto psicoanalitico e in riferimento all’asse Ferenczi-Balint-psicoanalisi inglese, preso di mira da Lacan, questo primo seminario dedicato agli scritti tecnici di Freud. Nel contesto di un movimento psicoanalitico che ha iniziato ad affrontare con una certa sistematicità la problematica del controtransfert (a cavallo tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta con Racker, Winnicott, Heimann, Little, Annie Reich), e nel pieno fiorire della “psicologia dell’Io” su un fronte e del kleinismo sull’altro, il seminario di Lacan mi sembra possa essere inteso come un primo tentativo di decostruire la “confusione delle lingue” (l’espressione è sua) in cui versa la psicoanalisi postfreudiana. Non casualmente Lacan cita a un certo punto la Guida degli smarriti di Maimonide. Maimonide è Lacan e gli smarriti sono gli psicoanalisti postfreudiani. Ciò che è stato smarrito, ovviamente, è la lezione di Freud. Smarrita, in particolare, è la nozione della costitutiva eccentricità dell’Io. Presi di mira, nella prospettiva di un ritorno a Freud (dunque a partire da una situazione concepita come allontanamento dall’ispirazione originaria della psicoanalisi), e col sostegno tra l’altro dell’etologia, della linguistica (de Saussure), di Hegel e di Heidegger, sono Abraham, Jung, i cherubini dell’Io (Hartmann, Kris e Loewenstein) e Anna Freud, Melanie Klein, Fenichel, Bergler, Nunberg, Sterba, Strachey, la Little (scambiata, come vedremo, con Annie Reich) etc.

Preso di mira, in particolare, è come ho anticipato sopra, il nesso Ferenczi-Balint. Dal momento che Balint inizia dalle impasses di Ferenczi, mi sembra cruciale constatare come una ragguardevole parte degli sforzi decostruttivi di Lacan sia dedicata alle impasses di Balint, cui è dedicata una parte sostanziosa del seminario. Lacan mostra di avere idee piuttosto decise a riguardo. L’influenza di Ferenczi (viene in particolare segnalata la sua tecnica attiva) si sarebbe esaurita, secondo lo psicoanalista francese, intorno al 1930. In seguito si sarebbe manifestata quella dei suoi allievi, Balint in testa. Lacan pensa in particolare alla nozione di relazione d’oggetto, cui dedicherà un seminario nel 1956-57. Già in quello del 1954-55 (il suo secondo) Lacan sottopone a severa critica Fairbairn. Quanto alle impasses di Balint, Lacan non è meno severo. Al discepolo di Ferenczi manca il concetto di relazione intersoggettiva, il che lo porta a concepire una two bodies’ psychology (secondo l’espressione coniata da Rickman) equivalente di fatto di una “relazione di oggetto a oggetto”. Manca, inoltre, “una giusta definizione del simbolo”. Il misconoscimento del registro simbolico (accompagnato dalla contemporanea scomparsa del registro immaginario) ha come conseguenza di far assurgere agli oggetti “un valore assoluto”.

Lacan con Ferenczi

In occasione del colloquio di Royaumont, tenuto il 10-13 luglio 1954 sotto l’egida della Società francese di psicoanalisi, Lacan presenta la relazione La direzione della cura e i principi del suo potere. Nella parte quarta, che reca il titolo “Come agire col proprio essere”, Lacan riprende brevemente in esame lo scritto di Ferenczi Introiezione e transfert del 1909. Scritto che viene definito “inaugurale”, ovvero anticipatorio di una questione fondamentale, “la questione dell’essere dell’analista”. Lo scritto di Ferenczi viene da Lacan messo in relazione con quella del compimento dell’analisi e dell’analisi reciproca. Lacan si domanda infatti se Ferenczi non arrivi all’estremo “di articolare che il compimento della cura non può essere raggiunto che nella confessione fatta dal medico al malato”.

In Varianti della cura-tipo, del 1955, Lacan aveva rinvenuto in tale questione il “tormento di Ferenczi”. Affinché la confessione del paziente giunga a termine, si chiede Lacan con Ferenczi, anche la confessione dell’analista dovrà essere pronunciata? Si capisce di qui la definizione che Lacan darà di Ferenczi in Del soggetto finalmente in questione: “il più autentico interrogatore della propria responsabilità di terapeuta”. E, ancora in Varianti della cura-tipo aveva scritto di Ferenczi che era, come abbiamo visto, “l’autore della prima generazione più indicato a discutere intorno a ciò che è richiesto alla persona dello psicoanalista, in modo particolare per il fine del trattamento”. Il titolo stesso dello scritto suona abbastanza ferencziano. È interessante notare come questo scritto, in ragione, si dice, della sua difficoltà, venga ritirato dall’Encyclopédie nel 1960, per ricomparire nell’edizione degli Scritti nel 1966. Nella breve introduzione scritta per l’occasione, del resto, Lacan parla due volte di “deviazione”. La deviazione va intesa, come s’è visto, in riferimento ad Anna Freud e alla “Psicologia dell’Io”, ovvero alla psicoanalisi americana rappresentata da Hartmann, Kris e da quel Loewenstein che di Lacan era stato l’analista. In particolare viene stigmatizzato il concetto di “autonomia dell’Io”. A tutto ciò Lacan oppone la lezione di Ferenczi e di Balint che egli, nonostante le loro impasses, giudica centrata, in ottemperanza a Freud, non sull’Io ma sulla verità del soggetto che ne svela le illusioni identificatorie, quelle stesse che all’Io celano il suo inconscio desiderio.

Forse la migliore testimonianza della considerazione in cui Ferenczi era tenuto da Lacan sta in quel gioco di parole attraverso il quale lo psicoanalista francese è riuscito a tradurre mirabilmente il suo precursore ungherese: Ferenczi, cioè, in pronuncia francese, faire ainsi, fare così. Cosa? La psicoanalisi.

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Giorgio Antonelli