di Graziano Perillo
Un affermato battitore d’asta viene coinvolto nella valutazione dei beni di un’antica villa, la cui giovane proprietaria, nonostante i suoi iniziali modi irritanti, lo affascinerà sempre di più, coinvolgendolo in una situazione per lui inattesa e dall’epilogo inimmaginabile. Questa è, in breve, la trama dell’ultimo film di Tornatore, “La migliore offerta”, un noir dai contorni volutamente psicologici, ma per nulla scontati, forse al di là delle consapevoli intenzioni dello stesso regista. I personaggi della narrazione sono ben definiti: Virgil Oldman, il battitore d’asta, vive una vita lussuosa e solitaria senza aver mai conosciuto una donna. Il suo unico rifugio è un caveau, dove possiede una straordinaria collezione di ritratti di donne. Claire, la giovane proprietaria, è affetta da agorafobia, non può incontrare nessuno e vive isolata nella sua villa, nella quale ha una stanza segreta, ultimo nascondiglio al mondo quando qualcuno per necessità deve invadere i suoi spazi. Accanto ai due protagonisti ruotano altre figure, alcune non meno fondamentali per la costruzione della storia come il giovane orologiaio esperto di affaire d’amour che consiglia Virgil, o come l’amico di vecchia data, complice nelle aste che ricorderà a Virgil che tutto può essere falsificato compreso l’amore.
Claire si nega, non si lascia incontrare e vedere, ha reazioni isteriche quando qualcuno cerca di forzarla; Virgil è pieno del suo io, indossa regolarmente i guanti perfino quando mangia al ristorante, risponde al telefono altrui prendendolo con un fazzoletto e non consuma, per superstizione, un dolce offertogli per il suo compleanno.
Virgil evita di guardare direttamente una donna, ma se può la sbircia, quasi spiandola. Il suo unico sguardo diretto è quello rivolto ai quadri della sua collezione di ritratti di donne, che nasconde agli occhi degli altri, come un tesoro del quale è geloso e a cui attribuisce un valore molto più grande di quello economico. Questi quadri sono l’oggetto del quale Virgil è innamorato. Sotto questo aspetto il protagonista del film ricorda un altro personaggio, quel lord Evandale protagonista de Le roman de la momie, anche lui innamorato di qualcosa di inanimato, del sarcofago della principessa egizia Tahoser.
Nel film due luoghi tombali sembrano seppellire le pulsioni: il cavau di Virgil e la stanza di Claire. Sono spazi speculari, uno il riflesso dell’altro, ed entrambi nascondono alla vista dell’estraneo qualcosa, sia esso godimento o messa in scena, desiderio o inganno. Virgil e Claire si adopereranno per violare la tomba dell’altro e rapirne il segreto, entrambi tradendo la reciproca fiducia. Virgil tradirà la fiducia di Claire spiandola per vederne le fattezze, Claire tradirà la fiducia di Virgil per rubargli la sua collezione. La relazione tra i due scorre su questo filo che, come un’asta, si gioca fino all’ultimo rilancio per scoprire chi vincerà: se l’autentico o il falso, il reale o l’imitazione, Arianna o Teseo.
Il senso del film sembra riassumersi nella frase: “In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico”. Il riferimento è intrinseco alla trama narrativa, ma coinvolge lo stesso spettatore, perché anche questi è posto dinanzi alla finzione filmica e alla sua falsificazione. Lo spettatore è invitato così a porsi dinanzi allo specchio del film, il quale, come ogni degna opera d’arte, è uno specchio che rimanda a ciascuno qualcosa del proprio Sé con le sue possibili interpretazioni. In questo modo l’opera d’arte – un quadro, un film, una scultura, una musica, un romanzo – diviene un’insieme di rinvii e di rispecchiamenti, un gioco di rappresentazione della rappresentazione così intravisto da Michel Foucault in Le parole e le cose in Las Meninas di Velázquez.
In questa serie di rinvii speculari avviene qualcosa di inatteso che dall’attrazione per l’inanimato conduce Virgil all’attrazione per ciò che è vivo. I pezzi di un meccanismo si incastrano e si modellano l’uno sull’altro fino a combaciare perfettamente. Ma non è un meccanismo che Virgil sta scoprendo. Egli sta scoprendo il desiderio del godimento dell’altro, della cura e dell’ascolto della parola. Il processo è inverso: Virgil ascolta la voce di Claire, poi si prende cura della ragazza, è spinto a vederla, infine desidera goderne. Il senex ha vissuto la sua crisi, ha perso le sue certezze, ha abbandonato i suoi guanti e ha lasciato che la nudità delle mani e poi quella dei corpi lo rendessero come Adamo nel paradiso. E proprio come Adamo, Virgil dovrà essere tradito per scoprire ciò che non riusciva a vedere, di essere stato soltanto Virgil Oldman, un vecchio uomo vergine (in inglese vergine è: virgin, e il nome Virgil può nel film alludere a virgin). Virgil, come la sua vita, gira su se stesso e non può più fermarsi, non può essere lo stesso uomo di prima: è stato ingannato (viene a sapere che Claire non è l’autentica proprietaria della villa e che usciva regolarmente), si sente fragile, coltiva speranze, è deluso e arrabiato, ma soprattutto ha scoperto che era lui ad aver bisogno di incontrare anima per gioire della vita. Il tempo scorre, Virgil si ritrova ora ad essere un senex aperto al suo puer. Egli non lavora più per una nuova asta dove poter comprare con l’inganno un altro ritratto di donna, perché ormai è in attesa di Qualcuno.