Tratto da Giorgio Antonelli, “L’immagine di Jung negli epistolari freudiani”, in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 36, Napoli, Liguori, 1994.
Tra i motivi di interesse destati dalla pubblicazione dello scambio epistolare intrattenuto da Freud e Ferenczi figura quello della “presenza complessuale” in esso di Jung. Con “presenza complessuale” intendo dire, nel caso specifico, che Jung ha costituito un “problema” per Ferenczi e che Freud, se ne sia accorto o meno, ha operato in modo tale da rinforzare tale problema. Il complesso cui intendo riferirmi è quello, per così dire, del “fratello minore” e, con riferimento a quanto vado affermando da qualche tempo, quello del “profeta minore” .
La prima nota stonata per Ferenczi deve essere suonata già all’arrivo della prima lettera di Freud. Ferenczi aveva scritto a Freud in data 18/1/1908 ringraziandolo per la sua disponibilità a riceverlo insieme al neuropsichiatra nonché compatriota Philippe Stein. Intanto c’è da osservare che Stein si era rivolto a Jung perché Freud lo ricevesse insieme a Ferenczi. Ma non è tanto questa la nota stonata, quanto il suo legarsi al fatto che, nella prima lettera che Freud invia a Ferenczi, in data 30/1/1908, già viene stabilito un confronto implicito tra i due “figli”. Freud scrive infatti che, a causa di problemi di salute insorti nella sua famiglia, la moglie non potrà averli come ospiti a tavola “come abbiamo potuto fare in tempi migliori con il dottor Jung e il dottor Abraham.” Come abbia letto la frase Ferenczi è facile arguirlo.
In ogni caso, il nome “Jung” sparisce per un certo tempo dallo scambio epistolare tra Freud e Ferenczi per riapparirvi in circostanze “sospette” in una lettera di Freud del 7/10/1908. In essa Ferenczi può leggere che Jung si è separato completamente da Bleuler per unirsi a “noi” per sempre e che Freud ha trascorso con lui giorni bellissimi. Se, al primo accenno a Jung fatto da Freud, Ferenczi non ha mostrato reazioni di sorta, a questo fa seguire cinque giorni dopo, in una lunghissima lettera, un commento risentito che suona “Mi dispiace molto che, nelle poche ore trascorse da Lei, non abbia potuto informarmi meglio riguardo ai particolari delle Sue discussioni con Jung sulla paranoia.”
Ferenczi dunque si sente escluso dal rapporto Freud-Jung. E non soltanto si sente escluso dallo scambio culturale che i due intrattengono, dalle parole importanti che si dicono. La prima esclusione, in effetti, era stata dalla tavola di Freud. “Mia moglie non potrà avervi come ospiti” aveva scritto Freud nella sua prima lettera, non potrà farlo come invece aveva fatto in passato con Jung e con Abraham. Interessante è poi la circostanza che l’oggetto dell’esclusione sia la paranoia. La quale, letta come una perversione cui è sottesa una forte pulsione omosessuale, ci conduce a pensare l’esclusione di Ferenczi come esclusione da un’intimità, da una complicità esistenziale tra due uomini, il “padre” e il “fratello maggiore”. I due “maggiori’ si parlano in intimità e mantengono il segreto su quanto detto, senza renderne partecipe Ferenczi, il “minore”.
Un culmine di questo movimento pro-Jung è probabilmente raggiunto nella lettera, inviata a Ferenczi il 29/12/1910, in cui Freud definisce Jung “uomo del futuro”. Nella stessa lettera, però, Freud si dimostra scontento del fatto che gli sconfinamenti nella mitologia stanno di fatto allontanando Jung dalla terra d’origine della nevrosi. In ciò egli offre un appiglio ai riposti desideri di rivalsa del fratello minore Ferenczi. Accade così che, nella lettera del 3/1/1911, pur dichiarandosi d’accordo (“dopo matura riflessione”) col giudizio dato da Freud sul ruolo futuro di Jung nella psicoanalisi, Ferenczi prova a insinuarsi in tre punti deboli dello psicologo zurighese. Il primo coincide con la constatazione che rispetto a Jung i viennesi hanno più “routine psicoanalitica” e ciò in virtù del continuo rapporto con Freud di cui essi godono. Inizia probabilmente in questa osservazione un lento processo che porterà Ferenczi a criticare duramente la tecnica junghiana, il che ho già avuto modo di mostrare. Il secondo punto debole su cui pone l’accento Ferenczi ha a che vedere col metodo (o il non metodo) che Jung sembra privilegiare. Il metodo della psicoanalisi è, per Ferenczi, fermamente induttivo. Prima di approdare a qualsiasi conclusione occorre, secondo lo psicoanalista ungherese, “esaurire ciò che è accessibile per via induttiva”. Alle costrizioni di metodo qui indicate da Ferenczi, però, Jung non si piega, preferisce al contrario abbandonarsi a “speculazioni teologiche” e a seguire “percorsi metafisici”. Un’altra significativa osservazione è quella relativa alle resistenze che Jung ha dovuto superare “in quanto cristiano credente”, prima di diventare discepolo dell’ebreo Freud. C’è ancora un ostacolo, però, che Jung deve superare (e siamo arrivati al terzo punto): “la sua ambizione e sete di potere”. Per il momento Ferenczi accetta il ruolo assegnatogli da Freud, “quello delsaggio consigliere al fianco di Jung”. “Opporvi resistenza” osserva il figlio e profeta minore Ferenczi “sarebbe come ribellarsi puerilmente al destino”. Accetta il ruolo, riconoscendo in pieno la propria gelosia nei confronti del fratello maggiore. Del quale, comunque, è riuscito a dire, nella misura del consentito (dato il contesto imposto da Freud), tutto il male possibile: carenza tecnica, carenza nel metodo, forte presenza del fattore soggettivo. Si tratta qui d’un vero e proprio monito all’indirizzo di Freud.
Circa un anno dopo Ferenczi scrive di poter pensare a Jung senza alcuna gelosia fraterna ed espone i propri sospetti nei confronti della sua persona: complesso del denaro (già messo in luce da Freud), “un’ambizione sconfinata e incontrollabile, che si esprime in gelosia e odio meschini” verso di Freud. Si allude anche a un episodio di meschinità di Jung. In occasione del congresso di Weimar Jung avrebbe spinto Magnus Hirschfeld ad annunciare le dimissioni dalla Società di Berlino, dopo aver fatto un’allusione alla sua omosessualità. Ferenczi ne deduce che Freud dovrebbe prendere Jung in analisi (lettera del 20/1/1912). Notazione, quest’ultima, che è in linea con tutto un percorso ferencziano di critica nei confronti dello psicologo zurighese e con quella strategia della patologizzazione, così presente nella storia del movimento psicoanalitico, della quale, paradossalmente, anche Ferenczi farà le spese: sarà ad esempio lui a essere considerato “paranoico”, laddove è lui, in una lettera a Freud del 17/3/1911, a formulare tale giudizio per Adler e a tacciare di “perverso infantile” Stekel.
Nel frattempo (lettera dell’11/6/1911) Freud vorrebbe che i due collaborassero nello studio dell’occultismo, del misticismo e della trasmissione del pensiero. Ma è evidente che la posizione assunta da Freud (che prescrive ai due una collaborazione e vorrebbe allo stesso tempo tenersi del tutto fuori dal campo così costellato) ingenera un certo imbarazzo in Ferenczi. Freud, del resto, è perfettamente consapevole che, in fin dei conti, Jung è un solitario (così scrive a Ferenczi il 21/5/1911). Un appiglio, questo, cui Ferenczi si aggrappa immediatamente nella successiva lettera del 27/5/1911, nella quale rileva in Freud un’opinione pessimista riguardo alla sua collaborazione con Jung. “Sono molto turbato” aggiunge Ferenczi “per il fatto che la psicoanalisi non riesca a far sì che due uomini possano collaborare per la causa comune, mettendo da parte o, più esattamente, dominando le suscettibilità personali”.
L’atteggiamento di Ferenczi nei confronti di Jung è ben evidenziato nelle lettere che lo psicoanalista ungherese invia a Freud il 13 e il 15 maggio 1911. In esse il nome di Jung e il “complesso del fratello rivale” (che Ferenczi crede di aver padroneggiato in gran parte e che avrebbe affrontato nella sua breve analisi con Freud) si dispongono in modo contiguo alla notizia del cattivo stato di salute del fratello maggiore di Ferenczi, Henrik, che sarebbe morto di lì a poco a causa d’un cancro al palato. Nella lettera del 15/5/1911 Ferenczi riconosce che le sue apprensioni nei confronti di Henrik sono “dettate da un desiderio di morte verso il fratello maggiore”. Il passo segue immediatamente una comunicazione riguardante Jung. La contiguità, qui, come accade nel sogno, nei lapsus, negli atti mancati, sta per la relazione e, nel caso specifico, per l’identità. E’ nei confronti di Jung, il fratello maggiore psicoanalitico, che Ferenczi prova un desiderio di morte. Lo stesso vissuto che Freud, in forza anche dei suoi famosi svenimenti, attribuiva a Jung. Una singolare catena: Ferenczi desidera la morte di Jung e Jung desidera la morte di Freud. Si potrebbe ipotizzare che Jung sia servito a Ferenczi da schermo di fronte all’ulteriore passaggio.
Ferenczi, a dire il vero, non riconoscerà mai quel desiderio e, certo, sarebbe stato meglio per lui se l’avesse fatto. Come scrive Freud, Ferenczi, in quanto “figlio di mezzo” di una famiglia molto numerosa (era l’ottavo di dodici figli), “aveva dovuto originariamente lottare contro un forte complesso fraterno”. Aggiunge subito dopo Freud che l’analisi l’aveva trasformato in “un fratello maggiore irreprensibile” . Non in un padre, però. Lo sarebbe forse diventato se, invece di sposare Gizella (più anziana di lui), un tempo sua paziente, avesse sposato la figlia di lei, Elma, anch’essa sua paziente. Il discorso qui si fa complicato e lo lascio volentieri al mio libro su Ferenczi . Va però sottolineato che i turbamenti junghiani di Ferenczi sono per buona parte contemporanei al suoaffaire con Elma (collocabile almeno a partire dal luglio 1911, mese in cui Ferenczi prende Elma in analisi). Jung, da bravo fratello maggiore, aveva già attraversato quel mare (la sua relazione con Sabina Spielrein). Freud dal canto suo, da bravo padre pensa bene di togliere Sabina a Jung (che si rifarà con Toni Wolff), Elma a Ferenczi (cui resterà Gizella) e, merita di essere ricordato in questo contesto, Loe Kann a Ernest Jones. Non casualmente, certo, anzi molto sincronicamente è questo il periodo della redazione diTotem e Tabù. Nella già citata lettera inviata a Ferenczi il 23/12/1912 Freud aveva avuto modo di stabilire la significativa connessione: “la mia costruzione del pasto totemico” scrive “trova conferma nella pratica; da tutte le parti ifratelli si scagliano contro di me, e fra di essi, naturalmente, ifondatori di religioni.”
E’ nella logica delle cose che il figlio minore voglia scalzare il figlio maggiore o comunque metterlo in cattiva luce al cospetto del padre. Una strategia complessuale, e dunque coatta, che lo inchioda in ogni caso al suo destino di figlio. Bisogna riconoscere che la carriera di Ferenczi da figlio minore a figlio maggiore, così come la prospetta Freud nella sua celebrazione del cinquantesimo compleanno dello psicoanalista ungherese, non è il massimo cui questi potesse aspirare. Un attacco per scalzare Jung è quello che compare nella già citata lettera del 20/1/1912. Riascoltiamo le parole di Ferenczi: “Sospetto in lui [Jung]-oltre al complesso del denaro da Lei già messo in luce- un’ambizione sconfinata e incontrollabile, che si esprime in gelosia e odio meschini verso di Lei, che gli è tanto superiore.” Una soluzione proposta da Ferenczi, come abbiamo visto, è che Jung entri in analisi con Freud. Mossa che può essere letta anche nell’ottica d’una equiparazione delle distanze da Freud di Ferenczi e Jung insieme. Equiparazione che compare in quelle lettere (non molte in verità) in cui a tratti prevale la cifra del “noi”. “Non vi sono dubbi” scrive ad esempio Ferenczi a Freud il 19/10/1911 “che in me e in Jung operi anche qualche residuo di curiosità sessuale”. Equiparazione che ha una importante conseguenza, puntualizzata da Ferenczi nella lettera del 20/1/1912: Freud non ha ancora trovato il suo successore. Nessuno dei possibili successori, infatti (e ciò include, ovviamente, Jung, soprattutto Jung direi) si è dimostrato in grado di “padroneggiare completamente le proprie debolezze.” Anche Jones, in una lettera inviata a Freud il 30/7/1912, si sarebbe dichiarato pessimista riguardo al possibile futuro leader del movimento psicoanalitico. Nella sua lista di esclusioni Jung figura in testa (“Jung abdica al trono” scrive Jones), seguito da Stekel, Rank e dallo stesso Ferenczi. Chi rimane? Jones, ovviamente. Va da sé che la conclusione deve essere Freud a trarla. Comunque sia, gli avvenimenti avrebbero preso la piega auspicata da Jones.
Un ulteriore tentativo di scalzare Jung è quello legato alla proposta (che parte da Ferenczi ed è e da lui condivisa con Jones e Rank) d’un Comitato Segreto, un’organizzazione di fedeli di Freud che deve assolvere il compito di vegliare sull’ortodossia della psicoanalisi. La proposta, accolta con entusiasmo da Freud (e di lì a poco tradotta nella pratica) è portata avanti altrettanto entusiasticamente da Jones, il quale tiene a precisare (in una lettera a Freud dell’1/8/12) che Jung non deve far parte del Comitato. Sulla strategia impiegata da Jones per escludere Jung dall’entrare nel Comitato Andrew Paskauskas, il curatore dell’epistolario Freud/Jones, ha dedicato uno scritto . Legata a questa esclusione (jonesiana, ma con tutta probabilità condivisa anche da Ferenczi) è la pratica, invalsa nella politica psicoanalitica, di accomunare l’avversario di turno agli psicoanalisti diseredati ufficialmente da Freud. Ferenczi dà anche qui il suo contributo nel poscritto d’una lettera inviata a Freud il 28/10/1912. In essa lo psicoanalista ungherese mette sotto accusa la retorica della “libertà di opinione” che ha consentito a Jung, Adler e Stekel di diffondere, sulle riviste della psicoanalisi, idee con essa in contraddizione.
Il culmine degli attacchi ferencziani all’indirizzo di Jung è raggiunto in occasione delle sue critiche allo scritto di Jung Trasformazioni e simboli della libido. E si tratta di attacchi che, nel caso del già citato articolo ad esso dedicato, sono promossi e richiesti dallo stesso Freud. Un intento espresso da Freud già nella lettera a Ferenczi del 2/10/1912, dove egli parla di un suo piano di guerra e della volontà di passare al contrattacco. “D’ora innanzi” scrive Freud “voglio essere io stesso l’ispiratore di queste critiche, ma, poiché non posso scriverle personalmente, cercherò qui delle persone disposte a firmare le mie opinioni, forse Reitler, Hitschmann, Tausk.” Nella successiva lettera, del 17/10/1912, Freud è più esplicito ed elimina i forse. Ha invitato il suo comitato “di redattori incaricati delle recensioni” (di cui fa parte, oltre ai già citati, Federn), ma l’attacco al lavoro di Jung sulla libido Freud lo chiede espressamente a Ferenczi, nominato nella circostanza membro esterno del comitato dei recensori. Scrive Freud: “prego anche Lei … di farmi pervenire il pezzo di importanza vitale, vale a dire l’articolo riguardante il lavoro di Jung sulla libido. Apriamo dunque le ostilità. L’attacco è la miglior difesa.” Circostanza quante altre mai significativa: è il padre che in qualche modo dà il permesso al “caro figlio” minore di procedere contro l’ex-favorito nonché “maggiore”. Un movimento questo che conosce una sua peculiare progressione, ben testimoniata dall’epistolario. L’impressione che se ne ricava è che la valutazione ferencziana di Jung dipenda dall’immagine di Jung proposta da Freud. Ogni incrinatura di essa si trasforma in un possibile appiglio per le rimostranze critiche di Ferenczi. Nella lettera del 21/10/1912, come s’è visto, Ferenczi stigmatizza quelli che ritiene essere gli errori di Jung contenuti nel suo scritto Trasformazioni e simboli della libido. Già nella lettera del 27/1/1912 Ferenczi faceva riferimento ai “giudizi in parte sfavorevoli” espressi da Freud alla Società psicoanalitica di Vienna relativamente ad alcuni punti dell’articolo di Jung sulla libido (la prima parte diTrasformazioni e simboli della libido apparsa l’anno precedente inJahrbuch, III). Adesso però (e soltanto adesso, direi) ha il suo avallo. Può procedere senza ulteriori problemi.