Tratto da G. Antonelli, Schizzi genealogici psicofilosofici, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, aprile 2008
Nell’incontro seminariale (a Zollikon) del 23 novembre 1965 Heidegger mette in discussione la scelta di Freud di chiamare la sua disciplina “psicoanalisi”. “Né negli scritti di Freud” afferma “né nella biografia di Freud scritta da Jones, si trova un qualche passo da cui risulti perché Freud abbia scelto proprio questo termine come titolo del suo tentativo teorico”. A suo tempo a Freud era stato obiettato l’impiego del termine psicoanalisi in luogo di “psicosintesi”. Se si fa psicoanalisi, aveva ribattuto Freud nella circostanza, la psicosintesi si fa da sé. Abbiamo già visto cosa ha da dire Heidegger relativamente all’inconscio di Freud. In una precedente sessione seminariale era stato il costrutto del transfert a essere messo in discussione. Il transfert, ritiene Heidegger, è pleonastico, dal momento “che ogni rapportarsi è, fin dal principio, già sempre intonato affettivamente” e, dunque “non occorre che venga trasferito proprio niente”. Ma la critica più esiziale viene mossa a Freud sull’abbrivio di una domanda rivolta al filosofo da Boss. “Perché finora” chiede Boss “a tutti gli psicologi, Freud compreso, è stato talmente impossibile determinare l’essenza della mascolinità e della femminilità”? La risposta di Heidegger suona come un epitaffio: “Ciò proviene dall’innata cecità per l’essenza dell’uomo”. Alla fine dei conti, dunque, i seminari di Zollikon possono essere letti come uno smontaggio della psicoanalisi freudiana: Freud approda all’invenzione dell’inconscio a partire dal postulato della totale spiegabilità dello psichico, cioè dalla continuità delle connessioni causali, concepisce una metapsicologia ad equazione neokantiana (lui che si vanta di essersi tenuto lontano dall’influenza filosofica), parla di transfert perché ignora il senso di ogni rapportarsi (e qui anche Jung ha affermato cose analoghe al dettato heideggerriano), nomina il proprio “tentativo teorico” “psicoanalisi” senza giustificare la nominazione e, soprattutto, è cieco all’essenza dell’essere umano. Le critiche non si fermano qui, ma tanto basta. Una considerazione della letteratuta critica su Freud (in ambiente di psicoterapia fenomenologico-esistenziale e anche di consulenza filosofica) consentirebbe di rilevare la presenza di un’impronta saldamente oltre che dichiaratamente heideggerriana.