Adattato da: Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1996
Nel 1958 Lowen pubblica Il linguaggio del corpo. Il testo consente di ritagliare nell’impossibile, meandrica storia della psicoanalisi un nesso fin qui poco indagato, il nesso “Ferenczi-Reich”. Ferenczi è presentato da Lowen come il più importante tra gli innovatori della psicoanalisi, uno che si trovava spesso in conflitto con Freud, “il quale si opponeva a qualsiasi mutamento del metodo psicoanalitico tradizionale” (una visione alquanto rigida direi quella qui espressa da Lowen). Lowen considera il nesso Ferenczi-Reich nel segno di una continuità e arriva persino a considerare l’uno (Reich) allievo dell’altro (Ferenczi). Il nesso viene preso in considerazione alla luce del significato, direi, “somatico” della tecnica attiva e del concetto freudiano di trasferibilità della libido. Se è vero che la libido è “energia trasferibile”, non c’è analista più attento di Ferenczi ai trasferimenti di libido, alla danza delle sue metonimie e anche alla fulmineità delle sue metafore (si pensi, a tale riguardo, a tutta quella ricca fenomenologia dei sintomi transitori che attraversa l’opus ferencziano, oltre che alla sua pratica del simbolo). Il concetto della trasferibilità della libido pone Ferenczi in particolare sintonia con Reich. Una relazione forte tra Ferenczi e il primo Reich e, comunque, una forte presenza di Ferenczi nell’opus reichiano può essere ravvisata nelle numerose citazioni che quest’ultimo fa dello psicoanalista ungherese.
Cominciamo da Il carattere pulsionale pubblicato nel 1925. Reich ha da ridire circa il primato assegnato da Ferenczi e Rank all’agire (ripetere) piuttosto che al ricordare. Tuttavia non mi sembra interpreti fino in fondo il significato dello scritto dei due psicoanalisti. È d’accordo con loro relativamente alla pars destruens, è avverso cioè all’analisi dei sintomi e dei complessi; è d’accordo anche nel ritenere che risiede nell’analisi delle azioni nevrotiche (ovvero nel ripetere) “il punto d’attacco principale dell’analisi del carattere”. Con ciò Reich ammette che il punto di vista di Ferenczi e Rank è molto vicino a quello proprio, riconosce cioè che una reale guarigione non si ottiene eliminando il sintomo ma “la base nevrotica reattiva”. Secondo Reich, insomma, all’analisi sintomatica deve subentrare l’analisi caratteriale. Egli ritiene comunque che l’agire (il ripetere) senza il ricordare, “cioè senza una ricostruzione analitica delle origini dell’azione” non possa fornire “una comprensione genetico-analitica”. Tale critica non tiene conto del fatto che, nelle intenzioni di Ferenczi e Rank, non si tratta del sostituire il ripetere al ricordare, ma di trasformare il ripetere in ricordo. In ciò Ferenczi e Rank tengono in debita considerazione anche il punto di vista topico, nel senso che assumono il concetto di “inconscio” nella sua letteralità. Se d’inconscio si tratta, ciò significa una impossibilità di ricordare. Tale impossibilità, tuttavia, non toglie la realtà, l’effettività della coazione a ripetere. È dunque attraverso il ripetere e anche l’incoraggiamento del ripetere (mossa questa in linea con la tecnica attiva) che si perviene al ricordo. Reich, comunque, mostra di essere in particolare sintonia con le concezioni di Ferenczi e Rank là dove afferma che sono appunto i pazienti che non agiscono (ad onta del profondo lavoro che con essi si fa sul piano del ricordo) quelli meno influenzabili terapeuticamente. Affermazione che mi sembra perfettamente in linea con il punto di vista espresso da Ferenczi e Rank nel loro scritto, in sintonia con la tecnica attiva e con la necessità di forzare quei punti morti con i quali Ferenczi si era dovuto più di una volta confrontare. Ora, tali punti morti sono traducibili come una virtuale impasse, ovvero una impossibilità di passare al ricordo dovuta alla circolazione bloccata di libido, al momentaneo stallo della sua trasferibilità.
È comunque in Analisi del carattere che Reich precisa le sue critiche al testo congiunto di Ferenczi e Rank. Reich cerca d’individuare i motivi che mettono in impasse la “inesauribile” teoria della libido di Freud e lo fa a partire dai tre punti di vista che governano la teoria e la pratica psicoanalitica: i punti di vista topico, dinamico ed economico. Ora, il punto di vista topico (che considera i “luoghi” della psiche: inconscio, preconscio, conscio, ovvero le istanze Es, Super-Io, Io) è inadeguato. Reich sostiene infatti che ai fini della guarigione non basta che una rappresentazione da inconscia diventi conscia. Migliore, ma ancora non sufficiente, è la soluzione dinamica (col che Reich intende in particolare la “abreazione di un affetto collegato a un ricordo”). La soluzione dinamica, che è quella perseguita da Ferenczi e Rank, è inficiata dalla provvisorietà dei suoi esiti. Rimane il punto di vista economico, che prende in considerazione il fattore quantitativo della vita psichica, ovvero la “quantità di libido che viene ingorgata o scaricata”. Il nevrotico, secondo Reich, soffre di una inadeguata economia della libido.
È a partire dal punto di vista economico, insomma, che Reich, pur riconoscendo a Ferenczi indubbi meriti nell’aver smosso le acque non fluide della terapia psicoanalitica così come era stata fino ad allora praticata, muove le sue critiche maggiori all’indirizzo dello psicoanalista ungherese. Tali critiche appaiono sinteticamente espresse nello scritto del 1942 La funzione dell’orgasmo. Ferenczi fu uno dei pochi (insieme a Rank) a rendersi conto di quella che Reich (mediando da Marx) chiama la “miseria terapeutica”. Molti invece erano naufragati a causa di essa e Reich ne redige un elenco nel quale figurano Stekel, che puntava esclusivamente all’interpretazione dell’inconscio negando il lavoro sulla resistenza, Adler, che era diventato un “filosofo finalista e un moralista sociale” e aveva negato “che si potesse venire a capo del senso di colpa e dell’aggressività con la teoria sessuale”, Jung, che aveva a tal punto generalizzato il concetto di libido da sottrargli il suo significato di “energia sessuale”. Ferenczi aveva capito dove risiedeva la soluzione: nella sfera somatica. La soluzione stava dalla parte del corpo. Non per niente, come s’è visto, Béla Grunberger avrebbe parlato di Ferenczi come del “clinico geniale del corpo”. Se i primi psicoanalisti hanno meritato l’epiteto di “segugi dell’inconscio”, a Ferenczi potrebbe a buon diritto spettare quello, supplementare ma non meno impegnativo, di “segugio del corpo”, ovvero del corpo attraversato dalla libido e segnato dalle sue metafore e dalle sue metonimie. La tecnica attiva va intesa, secondo Reich, appunto in questa direzione: essa concerne “gli stati di tensione somatica”. I punti morti dell’analisi, in altri termini, quelli che s’annunciano nell’assenza di associazione libera, nella parola che non sa più fluire, ovvero in un’associazione sterile (la parola vuota dell’ossessivo ad esempio), coincidono con la tensione muscolare. A tale riguardo Reich ha buon gioco a sostenere che le tensioni muscolari legano la libido e ne impediscono la libera espressione. Analogamente Ferenczi aveva compreso la relazione tra la capacità di rilassare i muscoli e la capacità di libera associazione. La trasferibilità della libido, insomma, quello che con altro vocabolario gli stoici antichi greci chiamavano il “libero fluire della vita” ha la sua radice, la sua analogia o, se si vuole, il suo specchio nella rilassatezza muscolare.
Il testo di Ferenczi nel quale si fa questione del parallelismo tra innervazioni motorie e atti psichici è del 1919 ed è intitolato “Pensiero e innervazione muscolare”. In un articolo apparso su The Psychoanalytic Quarterly nel 1947 Felix Deutsch cita il testo di Ferenczi sintetizzando nella formula “dimostrabile reciprocità quantitativa” il nesso che lo psicoanalista ungherese aveva rinvenuto tra atti motori e funzionamento psichico. Ferenczi, scrive Deutsch, aveva notato la profonda relazione tra stati resistenziali e rigidità delle parti del corpo. Ciò significa che la risoluzione delle tensioni psichiche può anche essere risolta quando si dissolvono le tensioni del corpo. Molto ferenczianamente, direi, Felix conclude sull’importanza degli indizi offerti all’analista dagli atteggiamenti posturali che il paziente assume in analisi. Si tratta, qui, di un modulo analitico fortemente presente nell’attività clinica e teorica di Ferenczi. Il quale avrebbe senz’altro approvato l’affermazione di Deutsch secondo la quale “il progresso di un’analisi può spesse volte essere giudicato dall’apparire di movimenti minori che possono essere analizzati in relazione a quello che il paziente sta dicendo.”. Sappiamo, a questo riguardo, quanto Ferenczi fosse presente ai movimenti minori dei suoi pazienti e a quelli che egli chiamava i “sintomi transitori”.
Ma è soprattutto una nota a pié di pagina al testo del 1925 “Psicoanalisi delle abitudini sessuali” che Lowen pone in, giusto direi, risalto nella sua disamina del rapporto Ferenczi-Reich. Si tratta della frase che suona: “Es scheint eine gewisse Beziehung zwischen der Fähigkeit allgemeiner Entspannung der Muskulatur und der Fähigkeit zum freien Assoziieren zu bestehen” che Lowen traduce: “Sembra esistere una certa relazione tra la capacità generale di rilassare la muscolatura e la libera associazione”. Lowen non cita, però, tutta la nota la quale, invece, merita un certo approfondimento. In effetti, dopo aver stabilito che esiste una relazione tra rilassamento muscolare e associazione libera, è legittimo attenderci che Ferenczi traduca quanto scoperto nei termini della tecnica analitica. Il che egli fa con riferimento tra l’altro al suo scritto “Pensiero e innervazione muscolare”. Scrive dunque Ferenczi che in certe occasioni egli cerca di costringere i pazienti alla distensione. Affermazione interessante anche alla luce della ricostruzione storica dei suoi passaggi tecnici. Mi sembra infatti che, in questa nota a piè di pagina di un testo pubblicato nel 1925, il terreno sia adeguatamente preparato per la metamorfosi neocatartica.
Ferenczi appare nella circostanza veramente vicino a Reich. Lowen cita il caso di un omosessuale trattato da Reich, quando questi si trovava a Copenaghen nel 1933. Il paziente, racconta Reich, resisteva ad associare liberamente sulle sue fantasie omosessuali passive. Ora, tale resistenza trovava il suo corrispettivo corporeo nell’estrema rigidità del collo e della nuca. Ciò significa, in generale, che le armature caratteriali si dimostrano essere identiche da un punto di vista funzionale all’ipertonia muscolare. Tale identità funzionale implica che un’azione condotta sull’ipertonia muscolare ha una diretta rilevanza sulla resistenza “psichica”, l’atteggiamento caratteriale del paziente e viceversa. Nel corso della sua analisi Reich ebbe in effetti modo di rilevare che, quando il paziente aveva ceduto sul proprio atteggiamento difensivo, erano subito emersi certi prepotenti effetti somatici. Ciò era dovuto al fatto che alla continua azione frenante della muscolatura del paziente era corrisposta nel tempo una continua accumulazione di energia biologica. Reich ne dedusse che le continue tensioni muscolari possono legare non soltanto l’energia vitale sessuale ma anche l’ira e l’angoscia. Lowen rileva che Ferenczi aveva fatto osservazioni simili sulla tensione dei muscoli sfinterici, dell’ano, dell’uretra, della glottide. Nello stesso quadro di riferimento sono da includere inoltre gli studi condotti da Ferenczi sullo spostamento di libido relativamente alla questione dei tic (tanto dibattuta dagli psicoanalisti delle prime generazioni). Tuttavia, conclude Lowen, egli non era riuscito a sintetizzare teoricamente le proprie osservazioni. Detto altrimenti non arrivò al concetto, formulato da Reich, di “identità funzionale”.
Riguardo ai rapporti tra Ferenczi e Reich c’è da segnalare l’esistenza di un frammento di lettera che quest’ultimo scrisse ma non spedì allo psicoanalista ungherese. La lettera reca la data dell’11 febbraio 1925 ed è immediatamente precedente alla pubblicazione dello scritto reichiano Il carattere pulsionale. Nel testo della lettera Reich rivendica ad Adler il merito di una scoperta (pulsione d’aggressione), la cui portata era stata tuttavia alquanto esagerata, e denuncia l’ingiustizia da quello a suo tempo subita. Il punto in questione è l’analisi caratteriale e il fatto che Ferenczi citi l’affermazione adleriana secondo la quale non ci si deve più occupare dell’analisi della libido, ma del carattere nervoso. La frase compare nel testo ferencziano Ulteriore estensione della “tecnica attiva” in psicoanalisi del 1921. È intanto interessante osservare che la lettura del testo era stata affrontata da Reich proprio in occasione della stesura del capitolo di un libro sulla tecnica e sulla terapia psicoanalitica che egli afferma di scrivere “con il consenso del Professore” (Freud). Il capitolo riguarda i “procedimenti abbreviati” e, insomma, la “tecnica attiva”. Come dire che, nel contesto psicoanalitico dell’epoca, l’innovazione (relativa) di Ferenczi era considerata in ordine alla possibilità dell’abbreviamento dell’analisi. L’affermazione di Reich secondo cui sarebbe in corso uno sviluppo (e qui viene indirettamente citato il testo di Ferenczi e Rank) “dall’analisi del sintomo alla terapia del fondamento caratteriologico della nevrosi da sintomo” (il che comporta che una guarigione duratura implica non la modificazione del sintomo, ma quella della sua base corrispondente, ovvero il “carattere nevrotico”) sposta il focus dell’attenzione sulla questione delle relazioni Ferenczi-Reich appunto in ordine all’analisi del carattere.
Il discorso potrebbe a questo punto farsi molto lungo, anche in ragione del fatto che a tale questione Ferenczi ha dedicato più di una pagina. Si pensi, soltanto per fare un esempio, allo scritto del 1928 (ma pubblicato postumo) “La terapia analitica del carattere”, derivato da una conferenza madrilena di Ferenczi, ma anche a scritti come, per citarne uno, “Psicoanalisi delle abitudini sessuali”, del 1925, nel quale Ferenczi stabilisce con nettezza la necessità di procedere con la tecnica attiva alle analisi del carattere. “Le cosiddette analisi del carattere” scrive nella circostanza Ferenczi “dovrebbero esigere in modo specifico la suddetta riduzione agli interessi anali, uretrali e orali, e servirsi a tale scopo dell’adozione di misure conformi alla tecnica attiva. In queste analisi, infatti, parrebbe importante risalire alle sorgenti pulsionali per utilizzare in modo diverso l’energia pulsionale che ne deriva.” (1925a, 306). È qui in gioco, come si può comprendere, la teoria anfimissica della genitalità. Ad essa, come era prevedibile, Reich dedica un certo spazio e riserva un commento critico.
Intanto Reich approva, da un punto di vista metodologico, che l’interpretazione psicologico-individuale del coito, come la chiama, sia sostituita da quella bioanalitica. Contesta tuttavia l’equivalenza stabilita tra eiaculazione e castrazione. Tale equivalenza vige soltanto per quegli uomini che non sanno amare, come anche avrebbe detto Balint, liberi dall’angoscia. Solo nel caso dei nevrotici, sostiene Reich, l’orgasmo vale il pericolo della castrazione. Ma la concezione ferencziana con cui Reich si trova maggiormente in disaccordo è quella dell’anfimissi. Tale disaccordo è esplicitamente dichiarato in opere distanti nel tempo e diverse come Genitalità e La funzione dell’orgasmo. Secondo Reich, Ferenczi avrebbe cercato di dimostrare che i processi della frizione e dell’eiaculazione sono il risultato di un’anfimissi, ovvero di una mescolanza di pulsioni orali, anali e uretrali. Anale sarebbe, ad esempio, il prolungamento della frizione, ovvero il trattenimento del seme. La tendenza uretrale spiegherebbe l’eiaculazione precoce, mentre quella anale spiegherebbe l’impotenza a eiaculare. Tirate le debite somme, dunque, la potenza eiaculativa è data dalla somma, dall’anfimissi appunto, delle tendenze pregenitali. Reich ritiene però che la funzione genitale sia specifica, non suscettibile di essere spiegata come risultante o somma. L’oralità, l’analità e l’uretralità, ovvero le tendenze non genitali, non si sommano per comporre la genitalità, semmai disturbano la genitalità. La tesi di Reich, ribadita ne La funzione dell’orgasmo, è che, se eccitazioni pregenitali si aggiungono nell’atto sessuale o nella masturbazione, esse possono indebolire la potenza orgastica. In altri termini il pregenitale contribuisce all’aumento di tensione vegetativa, mentre soltanto l’apparato genitale può scaricare del tutto l’energia biologica procurando l’orgasmo. In sintesi Ferenczi, secondo Reich, non avrebbe riconosciuto che proprio nella funzione dell’orgasmo esiste una “fondamentale differenza qualitativa” tra pregenitalità e genitalità. Si tratta qui di una lezione, quella di una specificità genitale, che comunque Ferenczi avrebbe recuperato in seguito, presumibilmente influenzato dallo stesso Reich. Come infatti scriverà nel Diario, la genitalità “si costituisce loco proprio come una tendenza specifica, già pronta, degli organi a funzionare”. Non sono più l’uretralità e l’’analità a condurre alla genitalità, ma è “la scissione della genitalità in uretralità e analità che costituisce il vero processo”.
A fronte di tali e tante critiche va osservato che Reich si trova invece d’accordo con Ferenczi su questioni fondanti di tecnica, come s’è già visto in parte. C’è un passo, sempre ne La funzione dell’orgasmo, che mi sembra molto esplicito a riguardo. In esso Reich stila una sorta di lista di concordanze tecniche con Ferenczi. In primo luogo la questione dell’analista. “Era proibito” osserva Reich “considerare l’analista come un essere sessuale”. Ciò significa ad esempio che era interdetto al paziente di muovere all’analista delle critiche. Tuttavia i pazienti ne sapevano (e ne sanno) comunque molto sul conto del loro analista, anche se “con questo tipo di tecnica” (Reich intende la tecnica tradizionale, quella che in gergo freudiano chiameremmo della “Indifferenz”) si esprimevano con sincerità soltanto raramente. “Con me” spiega Reich “impararono prima di tutto a superare il timore di fare delle critiche nei miei confronti”. Tematica, questa delle critiche nei confronti dell’analista, abbondantemente affrontata da Ferenczi.
Una seconda questione è quella concernente cosa debba fare il paziente. Conformemente alla prassi riconosciuta il paziente non doveva fare, ma solo ricordare. “Ero d’accordo con Ferenczi “spiega espressamente Reich “nel rifiutare questo metodo”. È chiaro a Reich (come era chiaro a Ferenczi al tempo della sperimentazione della tecnica attiva) che il paziente debba fare qualcosa. Segue a questo punto un passo molto interessante nel quale Reich associa alla propria pratica analitica la giocoanalisi di Ferenczi. “Ferenczi” scrive Reich “ebbe delle difficoltà con l’Associazione psicoanalitica perché egli, seguendo una giusta intuizione, lasciava giocare i pazienti come bambini. Da parte mia tentavo in tutti i modi di liberare i malati dalla loro rigidezza caratteriale.” Come si vede nella breve disamina di Reich sono presenti almeno due delle metamorfosi ferencziane, la tecnica attiva e la neocatarsi (con la variante giocoanalitica). Manca all’appello l’analisi reciproca, ma su questo punto non esiste forse analista che si possa comparare a Ferenczi.
Diversamente da quello che faranno gli psicoanalisti posteriori, diversamente da Winnicott, Reich cita, quando è il caso, il proprio debito nei confronti di Ferenczi e mostra una certa lungimiranza a collocarlo nel contesto storico-concettuale della psicoanalisi. In ambito psicoanalitico ciò costituisce inizialmente, e non solo inizialmente, più l’eccezione che la regola. Non penso che il motivo sia dovuto al fatto che per Reich, essendo un contemporaneo di Ferenczi, procedere in tal modo fosse più facile. Si prenda ad esempio il saggio reichiano del 1925 Il tic come equivalente della masturbazione. In esso Reich afferma che “Ferenczi per primo ha riconosciuto nel tic un equivalente della masturbazione”. In un altro lavoro pubblicata nello stesso anno, Una psicosi isterica in statu nascendi, Reich riconduce a Ferenczi e Rank (più al secondo in verità) l’aver sottolineato con forza “la necessità di analizzare costantemente la situazione trasferenziale” “anche quando non è diventata una resistenza” (come accadeva in quella che Reich, al modo di Ferenczi, chiama “l’analisi passiva classica”). In un articolo del 1922 Sulla specificità delle forme onanistiche Reich riconduce il proprio concetto di “forma onanistica” (il fatto che certi moti pulsionali inconsci trovino espressione e scarica “in un dettaglio apparentemente secondario nel modo di masturbarsi”) al saggio ferencziano che inaugura la tecnica attiva “Difficoltà tecniche nell’analisi di un caso d’isteria”, pubblicato nel 1919. Si tratta allora non di consigliare al paziente di reprimere la masturbazione, bensì “questo o quel dettaglio della sua esecuzione”. Né è da poco conto il fatto di aver riconosciuto come anche ferencziana la cosiddetta “psicologia dell’Io”. Nel citato Il carattere pulsionale Reich parla infatti della “psicologia dell’Io inaugurata da Freud e Ferenczi” e fa riferimento, per quanto riguarda quest’ultimo, all’importante scritto “Fasi evolutive del senso di realtà”. E, infine, con riferimento allo scritto ferencziano “Psicoanalisi delle abitudini sessuali” Reich è pronto a riconoscere che lo psicoanalista ungherese è stato il primo a trattare i pericoli della consuetudine sessuale nel matrimonio.
Così come accade per i manuali di psicoterapia breve, anche quando si tratta di scritti di analisi bioenergetica il nome di Ferenczi figura nella ristretta cerchia dei precursori. Significativa appare in tale contesto la relazione tra tecnica attiva e disturbi caratteriali, il nesso tra rilassamento e libera associazione, l’attenzione al linguaggio corporeo dell’inconscio. Le intriganti fila della relazione Ferenczi-Reich sono per la prima volta riprese da Lowen nel suo testo del 1958 con piena legittimità storico-concettuale.