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di Erika Czako, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura – Volume 2, aprile 2006.
Estratto
Sono già trascorsi alcuni mesi da quando noi del Centro Studi abbiamo deciso di dedicare il nostro prossimo Convegno alla figura e all’opera di Aldo Carotenuto.
Apparentemente sembra tutto più facile: non dobbiamo muoverci molto per reperire il materiale … le nostre case e il nostro cuore sono piene di testimonianze e di ricordi.
Eppure ho atteso gli ultimi giorni disponibili per consegnare all’editore il mio articolo perché volevo avvicinarmi il più possibile alla data del primo anniversario della sua scomparsa.
Come gli psicologi sanno, le date, le ricorrenze possono costituire un momento particolarmente critico del processo di elaborazione del lutto.
Si chiamano ‘reazioni anniversario’ e possono coincidere con crisi devastanti, regressioni, riaprire ferite solo superficialmente rimarginate.
Io cerco proprio questo. Non si scrive ‘bene’ quando si è tranquilli e io non voglio o non so esserlo.
Non è ancora giunto il momento per anestetizzare la memoria, anzi, voglio tenere ben aperto il canale di comunicazione con la mia interiorità, guardarmi allo specchio, ricostruire il senso di questa esperienza.
Sono un medico, diciamo, ‘di frontiera’, lavoro sul confine dell’esistenza occupandomi esclusivamente dell’assistenza ai malati oncologici terminali. Li seguo a domicilio, entro nelle loro case e nelle loro vite, così come loro, talvolta, entrano nella mia.
Le mie competenze tecniche riguardano prevalentemente la terapia del dolore, ma è la dimensione relazionale che s’instaura con i pazienti, fin dove è possibile, e con i loro familiari a trasformare questo lavoro in un’esperienza umana particolarissima.
Ascolto, cerco di individuare i punti critici e di rafforzare, dove necessario, le risorse psicologiche; condivido con loro una parte del cammino.
Sono insomma un ‘addetto ai lavori’ delle problematiche di fine vita.
Ma questa volta è diverso: debbo confrontarmi con un mio sentimento privatissimo, con un dolore personale, diretto, secco.
Devo trovare il coraggio di rendere rarefatta quella corazza di serenità e di padronanza che mi permette di svolgere con efficacia il mio lavoro e lasciar affiorare sentimenti repressi.
Sciogliere dei nodi e grumi di emozioni che mi macerano dentro.
Il diluente migliore, su di me il più efficace, è ascoltare musica, lasciarmi attraversare dalle onde sonore, ripulirmi come sotto una cascata …
Pensando ad Aldo Carotenuto, per immediata associazione, mi tornano in mente i suoni del Rock americano della fine degli anni 50, quei ritmi così contagiosi, carichi di ingenuo ottimismo o di finta innocenza come gli angelici volti degli Everly Brothers o il tormentato vitalismo di Jerry Lee Lewis e la sua ‘Great balls of fire’.
E chi non ricorda Paul Anka e la sua mitica Diana, quel crescendo trascinante
Hold me darling, hold me tight ,
Squeeze me baby with all your might,
Oh, please, stand by me, Diana
Già, Diana, proprio il nome di quella ragazza che in un vortice di entusiasmo e di giovinezza Carotenuto sposò e portò con sé in America … e che America! Quella di J.F. Kennedy e del mito della ‘Nuova Frontiera’, del programma di esplorazioni spaziali, di quell’immensa apertura di credito e di fiducia nella vita che contagiò anche i ragazzi europei sedotti dal fascino del giovane Presidente.